#Berlinale2017 – T2 – Trainspotting, di Danny Boyle

Boyle torna ai personaggi che lo avevano lanciato alla ribalta internazionale. Due decenni di distanza possono dire dov’è arrivato il suo cinema ma è difficile evitare il revival. Fuori Concorso

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Nemmeno il piacere di ritrovare i vecchi amici di una generazione cinefila precedente a questa riesce a liberare completamente T2 – Trainspotting dalla domanda che incombe su tutti i sequel: ce n’era veramente bisogno? Nel 2002 era stato Irvine Welsh ad aggiornare il pubblico su dove erano e cosa facevano i quattro ragazzi di Leith ma Porno non era stato avvincente e significativo come il primo romanzo. L’ammonimento sui rischi che avrebbero accompagnato un nuovo episodio non era del tutto ignoto e Danny Boyle gli aveva prestato fede. Comunque, il suo ripensamento potrebbe essere molto utile se si volesse capire a che punto è il suo cinema a venti anni di distanza dalla sua prima affermazione internazionale. In questi due decenni il regista britannico è passato attravero un diluvio di premi con Slumdog Millionaire e ha composto una filmografia che ha perscorso i generi senza mai scalfire la sua capacità di adattarsi al loro stile specifico. Il suo ritorno ad Edimburgo non tradisce il suo riconoscibile talento nel recepire le potenzialità visive delle nuove tecnologie e di uniformare le nuove mode al cospetto di una platea più ampia.

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T2 – Trainspotting si districa egregiamente tra le contaminazioni dei media esterni al cinema e gestisce in modo accattivante la loro proliferazione. Nel 1996, le possibilità di patchwork tra modelli di rappresentazioni differenti erano limitate al linguaggio della pubblicità e a quello dei videoclip mentre adesso sono potenzialmente infinite. Tuttavia, l’abilità di Danny Boyle nel tagliare e nel cucire linguaggi diversi non nasconde la sensazione che tutto il progetto sia solo una rivisitazione che non può fare a meno di appoggiarsi al primo film. Renton e Sick Boy passano una giornata a vedere su YouTube i filmati di vecchie partite e alla fine si ritrovano a giocare a biliardino con le maglie vintage del Manchester United e dell’Hibernians. C’è una giovane prostituta bulgara che vive con loro: li convince ad aprire un bordello di lusso e li sta a sentire mentre evocano la loro giovinezza. L’enfasi che mettono nei loro racconti e nel tentativo di spiegare il contesto storico non può evitare che la ragazza li consideri come due persone che vivono fossilizzate nel passato. La gamma delle ispirazioni che si proiettano su T2 – Trainspotting parte da C’era una volta in America e finisce con uno zany-movie come American Reunion. Il confronto tra i due amici che si rivedono in un pub dopo anni di lontananza e un bottino sottratto rimanda all’epica leoniana. L’incapacità di comportarsi diversamente dal solito replica l’esuberanza ormai fuori tempo massimo di Stiffler. Non si potrebbero spiegare altrimenti gli scivolamenti verso la scatologia e l’umorismo demenziale. Spud tenta il suicidio con un sacchetto di plastica invaso dal suo vomito e Begbie combatte la sua impotenza con una dose massiccia di Viagra. L’eroina e la percezione distorta che dava ai personaggi non sostiene più il motivo sociale che consentiva questi cambi di ritmo.

Il film di Danny Boyle riflette consapevolmente sulla vecchiaia e sulla disillusione ma non sa trattenersi dall’omaggiare le sequenze più appriscenti del primo film. Alla fine di Trainspotting, l’eroe lasciava gli amici per andare ad Amsterdam con la loro valigia piena di soldi e si assolveva dicendo che sceglieva la vita rispetto alla disperazione della tossicodipendenza. Dopo venti anni prende la via di casa e si lamenta di aver lasciato gli affetti e le cose che contavano davvero. Ha tradito tutti per una serie di simboli e di abitudini senza valore di cui rinnova l’elenco in un nuovo monologoBegbie evade dal carcere ed è ancora congelato con la convinzione di ricominciare la stessa festa. Il desiderio di vendicarsi di Renton è come il primo giorno ma è anche il suo modo per non muoversi di un passo. Spud affida alla scrittura i suoi ricordi e Danny Boyle li usa pretesto per ripescare il girato di allora come un flashback. Oppure, per inserire il vecchio film nel collage del repetorio visivo da utilizzare per costruire il nuovo. La ritrovata collocazione non dà ancora una giustificazione esaustiva della sua necessità. Il finale noir non fa che confermare che l’ossessione dei personaggi con il deja vu li blocca e gli fa perdere di vista un’altra occasione per riscattare il loro futuro.
I ragazzi di Leith non possono sfuggire alla coazione a ripetere le stesse cose fino ad esserne prigionieri. Danny Boyle rimasticherà anche questo film in un nuovo immaginario ma con T2 – Trainspotting non ha resistito alla tentazione del revival. In qualche modo è un sincero gesto d’affetto che raramente si è visto nel corso della sua carriera.

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