#Berlinale2017 – Wild Mouse, di Josef Hader
Un ritmo bizzarro, trascinato e limitato dal famoso comico austriaco, qui all’esordio dietro la macchina da presa. In concorso
Josef Hader è un comico austriaco molto famoso in patria. Attore e anche autore di commedie e satire politiche, ha presentato alla Berlinale la sua opera prima come regista, Wild Mouse che ha scritto, diretto e interpretato. Il suo personaggio è Georg, un critico musicale molto famoso che viene improvvisamente licenziato. Decide di non dire nulla alla moglie Johanna, una psicoterapeuta che sta cercando in tutti i modi di avere un bambino, anche con l’inseminazione artificiale. Il suo unico scopo diventa quello di vendicarsi del suo capo. E per raggiungere il suo obiettivo si fa aiutare da Erich, un vecchio compagno di scuola disoccupato anche lui.
Ciclone Hader. Nel bene e nel male. Trascina il film da solo con la sua comicità cattiva e per nulla consolatoria, che si sofferma sugli effetti devastanti della perdita del lavoro nell’individuo senza calcare troppo la mano ma senza essere superficiale. Però al tempo stesso ingloba il film su di se e anche le azioni degli altri personaggi (Johanna, Erich, il capo) sono determinate come azioni/reazioni ai suoi comportamenti.
Hader esplicita una commedia basata anche su una fisicità molto presente: ci sono risse, macchine rigate, telecamere sfondate. Per certi aspetti, la sua ‘fuga dalla realtà’ somiglia a quella del protagonista di A tempo pieno di Cantet. Dal dramma alla commedia, Wild Mouse ha però anche quel ritmo bizzarro di una certa commedia francese. La figura del protagonista sembra richiamare certi tic improvvisi di Benoît Poelvoorde. Il luna-park diventa l’altra vita. Il gioco della vita che è il gioco della commedia.
Josef Hader funziona meglio come attore e la sua scrittura e lì a servirlo. La sua regia non riesce ancora a far esplodere i momenti veramente comici e a eliminare le zone superflue. Inoltre a tratti c’è un problema di sguardo: basta vedere come è filmata la scena sulle montagne russe, che mostra come il caos dell’immagine che vuole creare (quello che è nella sua testa) non riesce ancora a creare quel vortice contagioso. Infine, forse la sovrabbondanza più stonata appare quella della voce off della tv con le parole delle guerre in corso. Probabilmente un elemento di riconoscibilità, un residuo delle suwe commedie politiche. Ma qui ne poteva fare anche a meno.