"Black Sheep – Pecore assassine", di Jonathan King

Horror, splatter e demenziale, dunque serio e politico, che arriva dalla Nuova Zelanda. Da una delle estremità geografiche del mondo è approdata sugli schermi del festival ceco l’opera prima di Jonathan King, neozelandese di Auckland, Black Sheep, protagoniste le pecore, in voce e corpo, pecore bianche ma nerissime nell’anima

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Protagoniste di Black Sheep, lo dice il titolo inequivocabile, le pecore, in voce e corpo. Pecore bianche ma nerissime nell’anima, che un esperimento genetico trasforma in massa assassina, mannara, zombie all’attacco degli umani a loro volta mutanti in una nuova specie. Colpevole, l’avidità di qualche scienziato e speculatore terriero che vorrebbe rendere quelle magnifiche lande verdi spazi appetibili a clienti stranieri, soprattutto asiatici. Alla base – nel prologo che mette in campo il presagio, l’attesa di un evento tragico che dovrà poi attendere quindici anni, ovvero il tempo di una didascalia, per manifestarsi in tutta la sua follia – c’è una tragedia che ha colpito, in una fattoria nella campagna neozelandese, la famiglia di Henry, rimasto da quel momento traumatizzato dalle pecore. Una vera e propria fobia. Le pecore sono ovunque, presenza che invade le inquadrature: con un belato premonitore, in transito nelle valli, uccise per destinazioni domestiche culinarie, usate le loro pelli e carcasse come trofei alle pareti o come abito per giochi spaventosi dai due fratelli adolescenti… Poche scene, depistanti, per introdurre la tensione horror, e nulla in confronto all’uso sadico che ne faranno i due scienziati: scuoiate, sventrate e lasciate ancora in vita, appese a travi e innestate con ogni sorta di fili al fine di generare una nuova forma di super-pecora geneticamente modificata… E che Henry, rientrato al villaggio per regolare i conti con il fratello cinico (è lui il responsabile di tutta l’operazione), dovrà affrontare, insieme a una giovane attivista ecologica, a un guardiano del posto e a un’anziana e deliziosa vecchietta la cui vita è stata anche per lei segnata dalla presenza di quegli animali…

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Black Sheep è un horror che gioca pesante, ma con umorismo eretico, che rende esplicitamente omaggio al John Landis di Un lupo mannaro americano a Londra (citato più volte nella mutazione degli uomini in pecore, distorsioni facciali e rumori a essa legati comprese) o a certo horror cult degli antipodi (da Peter Jackson – quello dei primi lavori, che Jonathan King indica come suo ispiratore, insieme al Sam Raimi degli esordi – al cinghiale assassino di Razorback-Oltre l’urlo del demonio dell’australiano Russell Mulcahy), che si sporca le mani e lo sguardo con l’horror splatter a più dimensioni, dal Dario Argento di Phenomena (con Henry e la ragazza che finiscono in un pozzo inondato dalla poltiglia di resti degli animali) agli zombie movies dove i morti viventi sono qui sostituiti da orde di pecore assetate di carne e sangue umani che calano dalle valli per cibarsi di corpi in alcune scene di macabri smembramenti collettivi (ne fanno le spese tutti, dagli speculatori al prete…). Jonathan King (graphic designer per riviste musicali, regista di centinaia di videoclip, di spot per la televisione, e di due cortometraggi, Still, del 2002, e Chogar, del 2003, horror comedy già sui toni di Black Sheep) non risparma nulla, gioca con gli effettacci come in un horror d’altri decenni, si diverte a confezionare un oggetto trash ma mai abbandonato a se stesso, conosce bene le regole del genere e come usarle per trasformare immensi spazi verdeggianti in luoghi di estrema claustrofobia (e i set che i protagonisti incontrano lo documentano: un pozzo, inquietanti interni di case e laboratori…) e innocui animali in corpi desiderosi di una vendetta che tutto travolge. In attesa che le pecore mannare ritornino, perché l’ultima inquadratura di Black Sheep ci dice che forse il pericolo non è stato scampato, se l’innocuo cane del film ci saluta mettendosi a belare…

Titolo originale: Black Sheep

Regia: Jonathan King

Interpreti: Nathan Meister, Danielle Mason, Tammy Davis, Peter Feeney, Olivier Driver, Glenis Levestam

Distribuzione: Mediafilm

Durata: 87’

Origine: Nuova Zelanda, 2006

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