CANNES 59 – "PingPong", di Matthias Luthardt (Settimana della Critica)

Luthardt è abile proprio nell'accerchiare dolcemente i suoi personaggi, nel cercare la giusta distanza per filmare situazioni complesse, microcosmi di silenzio e di intimità personali, trascinate nello spazio aperto del confronto, che diventa poi anche vendetta e violenza

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Un film piccolo attento, che si concentra, tutto sulle sfumature e si insinua nelle pieghe di rapporti nati giorno per giorno imprevedibilmente. Questa la linea che segue con rigore e attenzione Matthias Luthardt (autore di una manciata di cortometraggi e di alcuni documentari) presente con Pingpong, primo lungometraggio di finzione, tra i film della Semaine de la Critique.

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Storia di Paul, sedicenne inquieto e silenzioso (il padre si è suicidato e lui piomba senza preavviso nella casa estiva degli zii per trascorrere con loro e con il cugino pianista una vacanza inaspettata) che si lascia raccontare attraverso l'accumulazione di elementi e di piccoli particolari, dettagli che diventano sempre più importanti e compongono un quadro generale di tensioni sottili eppure capaci di sfociare in una tragedia quasi annunciata. Il solito discorso dell'apparenza che inganna e nasconde mancanze e frustrazioni, la famiglia felice che perfetta non è e si sgretola sotto il peso delle insicurezze nate tra i pensieri quotidiani. Luthardt è abile proprio nell'accerchiare dolcemente i suoi personaggi, nel cercare la giusta distanza per filmare situazioni complesse, microcosmi di silenzio e di intimità personali, trascinate nello spazio aperto del confronto, che diventa poi anche vendetta e violenza. Il percorso che si compie è quello dell'indagine attraverso uno sguardo che tende a privilegiare la flagranza del racconto, la sua immediatezza in termini di sorpresa e di tensione colta nell'istante del suo farsi. Le contraddizioni, in questo caso, diventano materia sulla quale lavorare per creare un testo ricco di spunti e mai didascalico, che sa sfuggire dagli stereotipi (il giovane che si innamora della zia e con lei consuma un veloce attimo di fisica attrazione), senza tuttavia perdere di vista le piccole cose che attraversano tutto il film, i vuoti, le pause, gli sguardi, i primi piani. Alla fine la strana vacanza si trasforma in una libera esecuzione di violenze domestiche, che restano sospese e non trovano una via di liberazione.


 

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