CANNES 67 – Titli, di Kanu Behl (Un certain regard)

titli

Noir indiano di un regista al primo lungometraggio, frammentato e accattivante, esasperato e incompiuto che è anche spaccato urbanistico di Nuova Delhi. Il movimento è frenetico e incontrollato, le scene di violenza piuttosto forti ma dove paradossalmente la fisicità è astratta. Ma il genere non riesce a confinarsi nella sua purezza, il dramma entra, a tratti lo fa sbandare e soprattutto gli fa sprecare il finale.

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

titliVicoli chiusi, palazzi in costruzione, quartieri malfamati. C’è uno scorcio urbanistico di Nuova Delhi, come spazio in continua trasformazione, in questo noir indiano frammentato e accattivante, esasperato e incompiuto. Nella banlieu della città, Titli cerca di staccarsi dall’ingombrante famiglia composta dal padre e due fratelli specialisti nel furto di auto. Il suo sogno è quello di gestire un enorme parcheggio ed ha quasi chiuso le trattative per comprarlo. Però poi perde la somma e si vede costretto a fare un matrimonio d’interesse con Neelu. Anche la ragazza ha altri progetti; ama infatti un uomo sposato. Ma, sorprendentemente, diventa la sua alleata per poter realizzare i suoi desideri.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

Accecato dalle luci stordenti, video/clip malato pregno di suoni stordenti, Titli trae quasi ispirazione da quei noir di James Gray dove il protagonista è sospeso tra le scelte individuali e gli obblighi morali condizionanti della sua famiglia. Il padre è spesso nell’ombra, fuori-campo, ma ha gli occhi continuamente sui figli. Sono sempre guardati dall’esterno i protagonisti di Titli, tra dentro e fuori-campo, come nel caso del protagonista che vede dall’alto i suoi due fratelli o Neelu felice con l’amante. Il movimento è frenetico e incontrollato, le scene di violenza piuttosto forti (Titli che colpisce le mani della moglie con un martello per simulare un incidente, l’impiegato di un concessionario d’auto pestato a sangue) ma dove paradossalmente la fisicità è astratta. Guarda verso Occidente, porta in sé l’ossessione del denaro come unica arma di sopravvivenza o motivo di guerra all’ultimo respiro anche coniugale.

Al suo primo lungometraggio (dopo due corti e un medio) con alle spalle l’esperienza di aiuto regista di Dibakar Banerjee (anche per il grande successo Oye Lucky! Lucky Oye!) accumula immagini in modo forsennato e ossessivo e si attacca ai personaggi venendo trascinato dai loro spostamenti. È l’esempio di quei film concepiti meglio in fase di scrittura, fatto più di idee riuscite che non trovano sempre adeguata soluzione visiva e in cui ci si rifugia con gesti anche troppo ripetuti (i denti lavati). Il genere non riesce a confinarsi nella sua purezza, il dramma entra, a tratti lo fa sbandare e soprattutto gli fa sprecare il finale.

 

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array