CINEMA – 1a Festa Internazionale di Roma – "L'aria salata" di Alessandro Angelini (CINEMA 2006)

Un'opera prima anomala che ha il coraggio di esporre dei corpi che trasmettono brividi, rabbia, commozione, della magnifica empatia. Angelini sa far esplodere i nervi tesi della storia, in un gioco/conflitto a due con il detenuto/padre (un sorprendente Giorgio Colangeli), di rara intensità emozionale che, a tratti, sembra davvero un lancinante mèlo

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Nessuna grande sorpresa, sussulto, sobbalzo, squarcio visivo anomalo, in questa prima Festa del Cinema, finora. Come se i selezionatori avessero raccolto, con cura meticolosa, ogni campione possibile e perfettamente "conciliato" con uno sguardo conforme (conformista) all'establishment politico culturale che sta dietro questo grande evento internazionale di Roma. Cinema per palati facili, occhi anestetizzati, cuori spenti.  Ma c'è sempre la speranza che, pur in un contesto cosi "mainstream", ci scappi nelle pieghe della programmazione (90 film!) qualcosa di storto, di imprevedibile, che faccia rivoltare lo stomaco se non lo sguardo.

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Però in mezzo ai Virzì, ai Tornatore, e a tutto il cinema italiano dolcemente ingabbiato nel duopolio RAI/MEDUSA, abbiamo visto un'opera prima quantomeno anomala, che per un soffio non è passata per la Settimana della Critica a Venezia, L'aria salata dell'esordiente Alessandro Angelini.


Prodotto dalla Bianca Film di Donatella Botti e dalla 01, questo esordio riesce almeno a destare per un po' gli animi sopiti, a smuovere le emozioni e a sorprendere le aspettative. Certo lo fa con mezzi a volte al limite del "lecito", colpendo spesso sotto la cintura (dei sentimenti), ma almeno ha il coraggio di esporre dei corpi capaci di trasmettere dei brividi, della rabbia, della commozione, della magnifica empatia. L'aria salata è una curiosa storia familiare, che penetra con rabbia nelle ferite aperte in un passato ormai lontano, quando un padre finì in prigione per omicidio e la sua famiglia, abbandonata, lo cancellò dalla propria vita cambiando set di vita e mentali. Vent'anni dopo i figli di quest'uomo, all'epoca bambini, e orami senza più madre, lo hanno dimenticato, ma non del tutto. Fabio in particolare (Giorgio Pasotti, su cui è costruito il film), lavora come educatore presso un carcere per aiutare i detenuti a reinserirsi nella società. Ma è introverso, scostante e non riesce neppure a "risolvere" i suoi rapporti sentimentali, mantenendo un "legame familiare" esclusivo con la sorella Cristina (Michela Cescon). Un giorno però arriva nel suo carcere un detenuto, condannato all'ergastolo, proveniente da un altro istituto. E quando Fabio deve incontrarlo e legge la sua scheda, ha un sussulto che gli cambierà la vita…


E' un travolgente eppur delicato rapporto padre/figlio il leit motiv del film di Angelini, che pur non riuscendo sempre a calibrare il corpo/Pasotti (forse ancora troppo dentro la recitazione convulsa in stile Muccino che sta devastando molti attori nostrani) dentro le pieghe di un personaggio che dorrebbe passare per uno shock che non si manifesta con chiarezza, riesce però a far esplodere i nervi tesi della storia, in un gioco/conflitto a due con il detenuto/padre (un sorprendente Giorgio Colangeli), di rara intensità emozionale.  E in quella giornata di libertà, concessa al proprio padre perduto/ritrovato, e vissuta con lui, assieme per la prima volta, sta tutta la potenza narrativa di una storia, e di un film, che a tratti sembra davvero un lancinante mèlo.


Forse un finale meno cupo avrebbe giovato al film (ma ovviamente è soggettivo…), e chissà perché a noi ci sarebbe piaciuto tanto un finale aperto, come quello (rovesciato) del padre che (non) porta il figlio in prigione nel finale, meraviglioso, de La 25a ora di Spike Lee. Ma il lavoro sui corpi, sui volti, sugli spazi e sul dolore di una vita è di prima qualità. Un giovane cineasta da tenere d'occhio.

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