Club Zero, di Jessica Hausner

Un’idea attraente che viene soffocata nel suo rigido formalismo e in un cinismo degno di Seidl. La regista affronta ancora i temi della fede e la manipolazione. Senza però nessuna pietà. Concorso.

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L’horror nella quotidianità. Mia Wasikowska demone travestito da angelo. Nella sua casa c’è una foto con degli alberi e una roccia. L’Eden perduto, il mondo a parte, l’aldilà purificatore. C’è l’estasi della morte come in Suicide Club di Sion Sono. Se ne sentono la spinta, l’isolamento dalla realtà la distanza dagli altri. Ma a differenza del cineasta giapponese, il cinema di Hausner guarda il precipizio ma non va mai a fondo.

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Mia Wasikowska è Miss Novak che va ad insegnare in un liceo privato dove tiene un corso di nutrizione che stravolge le abitudini alimentari dei suoi studenti. Del suo passato, da dove arriva, non si sa nulla. Gli allievi restano affascinati e poi ipnotizzati da lei e sotto la sua influenza sono sulla strada per completare il cerchio del misterioso ‘club zero’. La preside, gli altri insegnanti e i genitori non si accorgono inizialmente di nulla. Poi vedono che i comportamenti dei ragazzi hanno qualcosa di anomalo. Riusciranno a intervenire in tempo?

Club Zero è un film sulla distanza. Lo stesso titolo la evoca anche se finge di annullarla. Si vede nelle inquadrature a tavola, nella separazione delle stanze da letto dei ragazzi spesso chiuse. E la stessa distanza viene creata con lo spettatore, anche attraverso la musica di Markus Binder, intenzionalmente respingente, proprio per un’altra metafora sulle paure e i sentimenti come Little Joe ma anche sull’illusione di un’immortalità che non fa parte di questa terra. Lo spunto è attraente ma poi Hausner, nella sua rigidità formale, finisce per soffocarlo. Le ‘nuove divinità’ del suo cinema non volano mai, come nei saggi di piano, danza e che spegne tutto quello che ha davanti compresa la voce di Whitney Houston in I Wanna Dance With Somebody. Il cinema di Hausner non è mai stato così vicino a quello di Ulrich Seidl. Club Zero rasenta infatti il cinismo come nella scena in cui uno studente si scambia dei gelidi auguri natalizi in video con i genitori. Si, è ancora un film sulla fede e sulla manipolazione – come Lourdes che ormai è purtroppo soltanto un lontano ricordo – che però rischia di diventare manipolatore anche nel sottolineare le imperfezioni del corpo, della fisicità (il vomito mangiato) e in humour nero (l’arrivo della pioggia, la predizione del cancro di una studentessa alla madre) dove non c’è più nessuna pietà.

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
1.5
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Il voto dei lettori
4.5 (2 voti)
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