"Concorso di colpa", di Claudio Fragasso

I primi minuti del film, corsi col cuore in gola, costringono a respirare a pieni polmoni. Ma non è ammissibile voler dirigere un film di genere adoperando come pretesto la ricostruzione approssimativa di pezzi dolenti di storia italiana.

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I primi cinque minuti di Concorso di colpa parlano a favore di Fragasso, del cinema di movimento e d'azione, della macchina da presa sempre in corsa, a corto di respiro, con la gola incendiata dallo sforzo. Quei minuti impongono rispetto e clemenza quando si valuta l'accuratezza della ricostruzione di un'epoca – gli anni di piombo – per sua natura controversa e multiforme, quando si vuole considerare obiettivamente un film per quello che è: una forma di espressione, dotata che lo si voglia o no di canoni e regole.
La corsa dei cinque giovani "lupi solitari" nella sequenza di apertura (come definirli, comunisti? Estremisti di sinistra? Extraparlamentari?) che inseguono, spranghe alla mano e volto mascherato, un altro giovane dall'abbigliamento troppo elegante, costringe ad approfondire la qualità del mestiere di Fragasso: regista di film di genere da troppi anni, per non essere conscio delle potenzialità e dei rischi del comunicare per immagini. Questi "ammortizzatori critici" costituiscono un supporto utile fin da subito, non appena il piano temporale della narrazione cambia, la fuga del giovane finisce in tragedia, ed inizia il conflitto tra racconto e punto di vista sui fatti raccontati: è necessario,  per mantenere un approccio distaccato sul film, tenere a mente quella prima, bella sequenza.
Il giovane inseguito, dicono i suoi assalitori, è un neofascista. In fuga sui tetti di un edificio, messo con le spalle al baratro, precipita e muore. Quei violenti ventenni metabolizzano in un attimo tutto il fiele che li aveva animati, decidono di non volersi sentire responsabili di quella morte, scelgono il silenzio. Venticinque anni dopo, la fine tragica di uno di loro farà riaprire il caso e le indagini.
Concorso di colpa porta avanti, da quel momento in poi, diversi livelli narrativi; troppi, forse. Diventa vittima della propria volontà di essere film di genere. Di non voler esporre tesi sociologiche. Di volersi mostrare equilibrato, moderato. Di voler far finta che, in Italia, parlare di anni Settanta e comunisti e fascisti e violenza e guerra civile e imborghesimento e scheletri nell'armadio, sia solo un tema come un altro, una buona base per un film giallo. Finendo poi per ottenere un effetto distorcente: mescolare arbitrariamente e di continuo, senza il livello di approfondimento che forse nessun film di fantasia può raggiungere, cause ed effetti, torti e ragioni; ammucchiare in un'unica linea concettuale P38, Brigate Rosse, associazionismo, sindacalismo, occupazioni, ribellione, black blocks e no global, utilizzandoli come sinonimi senza la necessaria attenzione filologica che da Fragasso, nato nel 1951 – uno che in prima linea, all'epoca, c'era davvero – ci si attenderebbe.
Passa così in secondo piano il ritorno sul telo bianco di Francesco Nuti, acido come ci piace crederlo davvero, al fianco della corporeità di Alessandro Benvenuti e del carisma di Gabriele Ferzetti; passano in secondo piano gli stratagemmi narrativi, i punti di vista alternativi, che nascondono fino all'ultimo la verità e determinano la soluzione del caso. Nella memoria rimane il sapore di uno strano miscuglio, fatto della potenza visiva della prima sequenza e della ingenuità dimostrata nel voler utilizzare superficialmente, come pretesto, pezzi dolenti della storia italiana.

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Regia: Claudio Fragasso
Interpreti: Francesco Nuti, Alessandro Benvenuti, Gabriele Ferzetti, Luigi Maria Burruano, Luca Lionello, Massimo Bonetti
Distribuzione: Istituto Luce
Durata: 95'
Origine: Italia, 2005

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