Dal Polo all’Equatore di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi al MAXXI di Roma

Ospitiamo il testo della scrittrice Lucrezia Lerro dedicato al film del 1987, in programma all’interno della rassegna Senza Margine del museo romano fino a febbraio 2022

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di Lucrezia Lerro 

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Il film capolavoro Dal Polo all’Equatore di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi affronta con straordinaria maestria i temi della guerra e della pace, il sentimento della ferocia e il suo opposto, la miseria e la ricchezza, l’onnipotenza e la sottomissione. Racconta anche l’orrore della caccia e l’amore per gli animali. Lo spettatore di questo indimenticabile film documentario si trova di fronte un eterogeneo catalogo dei migliori e dei peggiori sentimenti umani. Le opere di Gianikian e Ricci Lucchi hanno cambiato il mio gusto cinematografico. Il loro cinema mi ha dato la possibilità di addentrarmi nella nostra storia politica con tutte le sue contraddizioni. Dal Polo all’Equatore racconta in modo impietoso la realtà. Per quattro anni i due artisti hanno lavorato ininterrottamente al loro film. Ci fanno scoprire, fotogramma dopo fotogramma, luoghi lontani: Gondar, Marrakech, Tangeri. È magnetica l’immagine d’apertura del film: un treno lunghissimo si muove sulle rotaie, intorno c’è una natura che si impone. Guardando il film ho pensato a come il lavoro di Yervant e Angela sottolinei con efficacia la prevaricazione dell’uomo sulla natura. È evidente in una scena in particolare: un uomo uccide un orso polare. È il racconto della ferocia degli uomini sugli animali. Ma anche della vicinanza, della promiscuità tra gli uomini e gli animali che ci ha trascinati nel baratro della malattia in cui siamo sprofondati.

Gianikian e Ricci Lucchi con un loro film del 1987, “Ape-bat”, anticipano ciò che sarebbe accaduto nel 2019, la pandemia che ancora stiamo vivendo. Yervant e Angela sono stati veggenti. Ricordo, a riguardo, una riflessione di Arthur Rimbaud “Il poeta si fa veggente mediante un lungo, immenso e ragionato sregolamento di tutti i sensi.”
Dal Polo all’Equatore è anche un inno alla vita perché narra i riti dei popoli dell’estremo Oriente. Il film forse sarebbe piaciuto all’antropologo Ernesto De Martino, che nel libro “La terra del rimorso” ha descritto il suo studio sul tarantismo, un antico rito contadino caratterizzato dal simbolismo della taranta – il ragno che morde e avvelena – e della potenza terapeutica della danza. In Dal Polo all’Equatore, invece, c’è la bellissima danza delle donne etiopi che ballano con delle parrucche bianche, mentre gli uomini nelle mani stringono delle lance. Lo spettatore scoprirà i soldati della prima guerra sul monte Adamello, sono perfetti nelle loro divise. Scoprirà i Cosacchi con i meravigliosi copricapi. I soldati e i Cosacchi: quelli che partivano, quelli che morivano, quelli che tornavano. Nel film verità di Gianikian e Ricci Lucchi, e a tratti onirico per i colori cangianti delle immagini, risaltano dei fotogrammi unici; la suora in Uganda che insegna ai bambini africani il segno della croce; il bimbo albino che risalta nella sequenza dei fotogrammi africani.

È possibile vedere Dal Polo all’Equatore al MAXXI di Roma, nell’ambito della mostra “Senza Margine” che terminerà a febbraio 2022. Mentre da qualche giorno è terminata la quarta parte della retrospettiva “Angeli e Guerrieri del Cinema” che ha celebrato Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi. Invito tutti al MAXXI, per scoprire il loro capolavoro, Dal Polo all’Equatore. Concludo il mio breve testo, per Angela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian, con le loro parole: “Non siamo archeologi, entomologi, antropologi, come spesso veniamo definiti. Per noi non esiste il passato, non esiste la nostalgia ma esiste il presente. Far dialogare il passato con il presente. Dialettica tra passato e tempo presente. Non usiamo l’archivio per se stesso. Usiamo il già fatto con un gesto alla Duchamp, per parlare di oggi, di noi, dell’orrore che ci circonda. L’artista ha il proprio lavoro per lottare contro la violenza che ci sta coinvolgendo ad Oriente come ad Occidente. Fin dall’inizio il nostro lavoro è contro la violenza, sull’ambiente, sugli animali, sull’uomo contro l’uomo. in “Dal Polo al’Equatore”, la prima apparizione dell’uomo nel deserto bianco è con il fucile, il suo primo gesto è di uccidere un orso.”

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