Desperate Souls, Dark City and the Legend of Midnight Cowboy, di Nancy Buirski

Presentato nella sezione Classici, Desperate Souls non è un documentario sul making of del film, ma un ragionamento sul contesto e sul come e perché vada considerato uno spartiacque imprescindibile

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La prima immagine di Desperate Souls, Dark City and the Legend of Midnight Cowboy è un primissimo piano di Jon Voight, talmente stretto che il suo volto fatica a stare nell’inquadratura. Sta raccontando di un giorno di riprese nel Texas. Per portare a casa la scena, l’attore doveva camminare per strada scalzo, con una temperatura dell’aria superiore ai quaranta gradi. A un certo punto, si accorge che all’ombra di un albero c’è il regista John Schlesinger, tremante. Sta avendo un crollo nervoso: “Ti rendi conto di cosa abbiamo fatto? Un film su un finto cowboy che se ne va a New York a fottere un sacco di donne!”. In effetti, non si trattava propriamente dello standard hollywoodiano. Eppure, Un uomo da marciapiede riesce a diventare un caposaldo del cinema di allora e dell’avvenire. C’è chi dice che la sostanza della nostra esistenza sia il passato e che per questo il presente vi scivola immediatamente. Forse, capolavori come Un uomo da marciapiede sono le fondamenta su cui si basa una visione del genere, spartiacque tanto impensabili prima quanto irrinunciabili poi, quasi che la loro presenza fosse inevitabile.

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Quello di Nancy Buirski non è, però, un semplice making of. Presentato nella sezione Classici della 79° Mostra del Cinema di Venezia, Desperate Souls è un documentario che si concentra principalmente sul contesto in cui il film del 1969 si inserisce. Ricostruisce, così, la carriera di un outsider come Schlesinger, mai vero esponente del Free Cinema (“Punta più in alto della televisione!” gli dice Lindsay Anderson) e padre mai veramente riconosciuto della Nuova Hollywood (come si potrebbe pensare Taxi Driver senza Un uomo da marciapiede?, si chiede la testimone Lucy Sante). Ricostruisce le dinamiche produttive e distributive, fatte di sceneggiatori come Waldo Salt inseriti nelle black list del governo e pressioni censorie in un’epoca di rivendicazioni e battaglie sociali.

In Desperate Souls la dimensione personale tracima sempre in quella universale. Il travaglio identitario di Schlesinger, uomo “di famiglia” ma dichiaratamente gay, si trasforma in un ritratto omosessuale implicito e sfumato, estremamente sentito e realistico nella distanza che mantiene dagli stereotipi. Allo stesso modo, il film con Dustin Hoffman e Jon Voight riesce a cristallizzare quelle richieste di realismo di un’epoca stufa di un immaginario costruito su western e musical e che voleva vedere la New York sporca, a volte meschina, spesso solitaria della vita reale. Buirski riesce così a trasmettere l’idea di una spaccatura sommessa, di una crepa quasi invisibile, eppure importantissima a livello strutturale, pronta a far crollare tutto affinché possa partire la ricostruzione.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
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