DPCM e sale chiuse: gli appelli dei lavoratori dello spettacolo
Dal 30 ottobre al 7 novembre con le manifestazioni in tutta Italia, e poi appelli e lettere aperte da parte delle associazioni di settore: la protesta alla decisione di tenere chiusi cinema e teatri
Venerdì 30 ottobre, in sedici città italiane, si è svolta una manifestazione su scala nazionale che ha coinvolto i lavoratori dello spettacolo, scesi in piazza per manifestare contro la chiusura di cinema e teatri. A Roma si sono raccolti sotto Montecitorio centinaia tra attori, ballerini, circensi, ma anche tecnici, per chiedere misure di sostegno da parte del governo ad una categoria già fortemente in crisi durante il primo lockdown e ora ulteriormente penalizzata in seguito alle misure restrittive indicate dal DPCM del 25 ottobre. Una manifestazione unitaria organizzata dalle varie maestranze di settore in collaborazione coi tre sindacati di categoria CGIL, CISL e UIL. A Torino la mobilitazione prevista (come a Milano, a Bologna, a Roma, a Napoli, Vicenza e Piacenza e altre città italiane) per il 7 novembre si è dovuta spostare online a causa delle restrizioni regionali anti-Covid. Così musicisti, organizzatori di eventi, attrici e registi hanno dato vita ad una conferenza stampa via webcam, non solo per ribadire la necessità di aiuti concreti ed immediati a tutta la categoria, con l’istituzione di un reddito di continuità per i periodi di non-lavoro obbligato, ma anche e soprattutto per chiedere una riforma strutturale di tutto il sistema culturale che possa assicurare ai lavoratori diritti essenziali ed imprescindibili.
Nonostante cinema e teatri si siano dimostrati luoghi sicuri dov’è possibile attuare e seguire scrupolosamente tutte le misure di sicurezza necessarie ad evitare i contagi (è stato registrato un solo caso di positività dalla riapertura di giugno), il Governo ha indetto una nuova chiusura che va a gravare non solo sulle entrate economiche dei lavoratori dello spettacolo, ma anche sull’offerta culturale del paese. Le richieste dei manifestanti sono chiare: ammortizzatori e tutele fino alla piena ripartenza delle attività culturali, nella piena consapevolezza della gravità dell’emergenza sanitaria che stiamo attraversando. Le stesse istanze sono state riprese anche dall’appello di SNCCI (Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani) e SNGCI (Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani) che richiedono l’estensione delle indennità e dei bonus anche ai lavori autonomi e ai giornalisti freelance del settore culturale per tutto il periodo di stop. Nelle scorse settimane anche AGIS e AFIC hanno lanciato iniziative e proposte di discussione delle nuove misure imposte dal presidente Conte, attraverso comunicati, lettere aperte e petizioni online sottoscritte da diversi nomi della stampa cinematografica che propongono una stesura concordata dei protocolli di sicurezza, in modo da poter garantire l’apertura delle sale cinematografiche e di conseguenza assicurare la ripresa dell’attività giornalistica ad esse legata. In risposta, il presidente di ANICA Francesco Rutelli ha fatto sapere che nuove misure sanitarie ancora più stringenti sono al vaglio delle istituzioni per garantire a tutti i lavoratori il ripristino dell’attività stampa in totale sicurezza.
Un altro importante punto di discussione per le associazioni coinvolte nella manifestazione è la regolamentazione delle iniziative online. Il 4 ottobre infatti ANEC ha rilasciato un comunicato stampa in risposta al decreto firmato dal Ministro Franceschini che permetterebbe ai produttori di approdare direttamente sulle piattaforme streaming senza passare dalle sale. Un provvedimento che fa ad inficiare la situazione già precaria degli esercenti, perché in vista di una possibile riapertura dei cinema a metà dicembre non ci sarebbero film da proiettare. “Il passo falso compiuto in estate ha già evidenziato come le sale cinematografiche possano ripartire soltanto con il prodotto nazionale, ma se questo viene dirottato sulle OTT saltando completamente il passaggio in sala, allora si decreta la chiusura definitiva di un comparto già compromesso. La sopravvivenza del settore e la salvaguardia delle sale non può più essere affidata a regole mutevoli e interventi economici non sufficienti al drammatico momento che il paese attraversa” ha fatto sapere ANEC.