Ferite mortali






Titolo originale: Exit Wonds
Regia: Andrzej Bartkowiak
Sceneggiatura: Ed Horowitz, Richard D'Ovidio dal romanzo di John Westermann
Fotografia: Glen MacPherson
Montaggio: Derek Brechin
Musica: Damon 'Grease' Blackman, Jeff Rona
Scenografia: Paul D. Austerberry
Costumi: Jennifer L. Bryan, Rachel Leek
Interpreti: Steven Seagal (Orin Boyd), DMX (Latrell Walker), Isaiah Washington (George Clark), Anthony Anderson (T.K.), Michael Jai White (Strutt), Bill Duke (Hinges), Jill Hennessy (comandante Annette Mulcahy), Tom Arnold (Henry Wayne), Bruce McGill (Daniels), David Vadim (Montini)
Produzione: Dan Cracchiolo, Joel Silver per NPV Entertainment/Silver Pictures/Village Roashow Entertainment
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Durata: 103'
Origine: Usa, 2001


Paradossalmente grazie a un epitaffio si può risalire la china. Per l'accademico Toby Miller della New York University, i divi muscolari agonizzano ormai perché "il loro apice è stato durante la guerra fredda quando il pubblico voleva eroi macho che salvassero il mondo". La secca replica di un rappresentante della categoria come Seagal sono i 19 milioni di dollari rastrellati al box-office al primo weekend da Ferite mortali. Attenzione però: scordatevi pure riabilitazioni di film e interprete, le cui perle sono Duro da uccidere e Decisione critica. Ferite mortali è piuttosto un trattato sulle pulsioni (auto)distruttive come codice primario dell'action. Le deflagrazioni visuali sono immagini slittanti nella composizione visiva. Corpi e cose non danzano nello spazio, ma ne vengono atomizzati. Nella prospettiva stravolta, l'azione si smaterializza senza ricomporsi, visto che basta l'icona Seagal che vale metonimicamente l'azione stessa per il feticismo divistico. La moltiplicazione disarmonica degli scontri è una sfiducia totale nella coreografia che ha creato un'osmosi fra i generi occidentali e orientali. Nessun alfabeto dunque della fisicità quanto piuttosto materia e forma che non combaciano, facendo collassare il linguaggio delle pose e delle movenze insito nell'eroismo individuale delle arti marziali. Negli scontri così l'unica prospettiva è quella dell'impercettibilità spettatoriale. Uno spettacolo che è prima di tutto luogo di emergenze dell'azione. In un registro crepuscolare che subordina l'eroe a una donna, lo fa affrontare colleghi corrotti, e scendere a patti coi pusher, per fargli frequentare terapie di gruppo, come argine degli impulsi collerici intrinseci alla diegesi.
Fabio Zanello

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