#FESCAAAL29 – Loveling, di Gustavo Pizzi

Uno scenario apparentemente vuoto di cose e di vicende, ma pieno di un colore naturale indelebile e forse introvabile. Dal Concorso del Festival del cinema Africano, Asia e America Latina

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Alla fine per noi le cose si aggiustano sempre
dai dialoghi del film

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Numerosi i film che dal Sud America, sotto le mentite spoglie di una sitcom familiare, ci hanno raccontato i disagi e i sentimenti della rete dei rapporti che si articolano in quel microcosmo. Andando a memoria ricordiamo La nana di Sebastian Silva, una buona parte della produzione prettamente cilena di Sebastian Lelio, ma anche Familia rodante e La quietitud di Pablo Trapero, se vogliamo anche La ricostruzione di Juan Taratuto appartiene a questo novero, ma anche Roma di Alfonso Cuaron ne fa parte, ci appartiene pure E’

arrivata mia figlia, di Anna Muylaert, giusto così, senza cercare altrove, ma solo nel ricordo recente. Si aggiunge a questo elenco, sicuramente incompleto, Loveling di Gustavo Pizzi poco più che quarantenne regista brasiliano.
Irene è una donna assorbita dai suoi quattro figli e da un marito sognatore che vende libri che nessuno compra più perché chi lo fa preferisce acquistarli online e si inventa imprese speculative per riuscire a sbarcare il lunario. Si aggiunge a questo quadro, Sonia sorella di Irene che, sposata ad un uomo violento, si rifugia da lei in cerca di protezione. Fernando, il maggiore dei figli è un campione della pallamano e si procura un contratto per giocare in Germania. Tra piccoli guai e qualche soddisfazione la vita della famiglia va avanti.
Il piccolo e quasi esaustivo mondo familiare, con le sue reti sentimentali e le sue piccole storie, qui emerge in tutta la sua esemplare semplicità e il film di Pizzi sembra diventare un piccolo compendio di semplici – e non semplicistiche – situazioni che trovano il loro naturale dispiegarsi nell’affidarsi ai legami e nel confidare nella reciproca fiducia. Questi sentimenti, che non diventano mai la melassa coprente di un sentimentalismo ruffiano, hanno, invece a volte il sapore forte dello scontro che però sembra davvero frantumarsi davanti alla necessità di preservare i rapporti. È quella fiducia di cui si diceva a diventare cassaforte alla quale attingere nei momenti di disagio e di possibile frattura. L’humus fertile nel quale si sviluppano le storie dentro questo variegato anfratto sociale che è la famiglia in alcuni casi, come in questa occasione, acquista perfino un sapore benevolmente rétro, in cui il legame familiare si fa panacea per i piccoli mali. Più che in altre cinematografie, in quelle latino-americane il legame familiare fa da scudo protettivo rispetto al male del mondo.
Nella sua piccola elegia del quotidiano che Loveling rappresenta, anche Pizzi si accoda, ma con una propria acconcia originalità, ai suoi colleghi e scrive e dirige un film che come un’acqua cheta macina storie, definisce personaggi, ritrae un piccolo mondo, prefigura futuri e rinnova sentimenti. Ha ragione Klaus, il padre di Fernando e marito della bella Irene, in fondo, quando dice: per noi le cose si aggiustano sempre. Pizzi sa proporre al suo pubblico la piccola fortuna di una famiglia alla quale nulla di drammaticamente irrisolvibile accade. In questo fiume così apparentemente tranquillo, scorre, invece, una specie di sapienza che si misura nel governare i conflitti, nel dosare perfino i piccoli dolori e la malinconia. È per questo che su tutti, come al solito, giganteggia la figura materna,che pur non disdegnando una certa ambizione personale con il suo diploma conquistato in tarda età, sa costruire lo scenario dentro il quale lavorare per ricomporre sempre la propria famiglia. È per questo che Loveling si fa amare, e se all’inizio l’attesa di qualcosa che possa rompere quella specie di idillio che indisturbato inanella piccole gioie familiari tiene desta l’attenzione, dopo sarà proprio questa serenità di fondo sulla quale si farà affidamento per proseguire in questo frastagliato, fragile, ma sicuro idillio, che accompagna la vita di questa famiglia brasiliana. È la credibile e condivisibile quotidianità a dare una forma di realismo al racconto, ma è quella originalità per nulla ricercata, ma che lavora sulla spontaneità di un possibile autobiografismo che ridefinisce questo realismo con le leggeri note di una ironia che sa saldare una innata malinconia ad una solida, benché, non sconfinata fiducia nel futuro. Loveling, già dal titolo suggerisce quel sentimento di fondo che lega i rapporti dei familiari, ma sembra anche un invito rivolto al pubblico con quel gerundio che chiama ad una azione affinché un’altra si compia.
Pizzi ha scritto il film con Karine Teles che interpreta Irene, la protagonista del film, e ne risulta una scrittura perfettamente coerente con la trattazione in cui i profili dei personaggi emergono con efficace sintesi. Pizzi sa dare unità al tema che fa da sfondo alla storia, trovando gli spunti necessari per dare respiro alle vicende, sa inventare i personaggi e attribuire colore alla storia in un film che sa restituire anche visivamente una variegata sfumatura cromatica. Pizzi costruisce un piccolo mondo quasi invidiabile, segno di un sintomo che che lo ha portato a lavorare tra memoria e presente, tra tradizione e quotidiana, ma non supina, accettazione di una predestinata condizione. Ne deriva un cinema che ha il coraggio di costruire uno scenario apparentemente vuoto di cose e di vicende, ma pieno di un colore naturale che appare indelebile e forse introvabile.

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