FESTIVAL DI ROMA 2014 – Incontro con Mia Hansen- Løve e Félix de Givry per Eden


Dopo Il padre dei miei figli, vincitore di Un Certain Regard a Cannes 2009, la regista e sceneggiatrice francese è a Roma per presentare il suo ultimo film in concorso nella sezione Gala. All’incontro era presente anche l’attore Félix de Givry

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Dopo Il padre dei miei figli, vincitore di Un Certain Regard a Cannes 2009, la regista e sceneggiatrice francese è a Roma per presentare Eden in concorso nella sezione Gala. All’incontro era presente anche l’attore Félix de Givry.

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Com’è stato ricostruire un momento così importante per la musica francese e non solo?
Mia Hansen-Løve: È una storia lunga rispetto ai miei film precedenti. È stato un film difficile da fare sia dal punto di vista finanziario che del progetto. Il film cerca di ricostruire l’energia musicale degli anni ’90. Mio fratello ha fatto parte di questa scena, è diventato un dj. Si interessava al garage che è una variante della house. Quindi è una storia che ho vissuto da vicino. Ho scelto di raccontare il percorso di un dj che non ha avuto un successo sfolgorante. Poi ho integrato mio fratello nella scrittura del film ed è diventata una co-scrittura.

 


Com’è avvenuta la scelta del cast? 

Hansen- Løve: Ho scelto gli attori in modo che rispecchiassero il fascino dell’epoca. Anche quando ho fatto il mio secondo film, ho preso un attore sconosciuto al grande pubblico perché il protagonista era una figura poco nota. Allo stesso modo Eden si basa su questo criterio perché non parla di dj famosi. Gli attori dovevano insomma essere coerenti con la trama del film. Peraltro sono tutti molto giovani, e trasmettono l’idea di innocenza. Inoltre ho cercato di formare un gruppo, in quanto il mio intento era di creare complicità e affiatamento. Nel cast poi ci sono anche attori più noti.

Félix come ti sei preparato al ruolo?

Félix de Givry: Ho una certa familiarità con la musica elettronica. Ho seguito qualche corso dove ho imparato a mixare col vinile. Questo mi ha permesso di capire meglio la tecnica anche se nel film si trattava di finzione.

Il film può definirsi un documentario in presa diretta su un periodo storico?
Hansen-Løve: C’è una certa precisione, un rigore con cui abbiamo cercato di ricreare l’atmosfera dell’epoca. Però per me il film è di fiction, e infatti mi sono concentrata solo su alcuni gruppi, come i Daft Punk. Sicuramente c’è stato un grosso lavoro di documentazione sul suono, sulla scelta dei brani e in generale sul mix. Ho voluto che il film fuggisse dalle convenzioni, cioè che fosse sì generazionale ma non riprendendo i cliché del genere. Ho pensato quindi di fare il ritratto di un essere umano da cui trasparisse l’atmosfera dei club. Per questo ho scelto il realismo come chiave.


La generazione che racconta però è molto influenzata dalla cultura americana
Hansen- Løve: Esatto, nonostante venga chiamata French touch c’è una forte influenza della cultura americana. I personaggi infatti all’inizio cercano la musica in posti lontani, nella black community e nell’underground americano. Trovo bello il fatto che superino le distanze geografiche e facciano propri certi stili e certe tendenze come la garage house che è nata proprio a New York.

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