FILMART 2006. I mille volti di Hong Kong

Si è svolta dal 20 al 23 marzo ed è la più grande fiera-mercato dell'estremo Oriente. Presenti tutte le massime autorità politiche, imprenditoriali e artistiche dell'ex-colonia inglese. Per gli "Asia Screening", si sono potuti rivedere gli ultimi lavori di Takashi Miike e Pang Ho Cheung e si è evidenziata una certa vitalità produttiva

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Il Filmart di Hong Kong, la più grande fiera-mercato dell'audiovisivo nell'estremo Oriente ha, quest'anno, dal 20 al 23 marzo, festeggiato il suo decimo compleanno. In grande stile, con un party inaugurale che ha coinvolto tutte le massime autorità politiche, imprenditoriali e artistiche dell'ex colonia inglese. Da Donald Tsang, chief executive della "regione a statuto autonomo" di Hong Kong, a Peter Woo, chairman dell'Hong Kong Trade Development Council, organizzatore dell'intera manifestazione e partner di altre sette, tra cui l'Hong Kong International Film Festival, da Wong Kar-way a Tsui Hark, da Maggie Cheung a Jackie Chan fino a Tony Leung, ambasciatore del Filmart. La fiera ha ospitato quest'anno più di quattrocento stand, con importanti delegazioni dall'Europa, Francia e Germania su tutte e dagli Stati Uniti, con film commission, case di produzione e distribuzione. A farla da padroni, naturalmente gli hongkonghesi, con stand che andavano dai festival all'Hong Kong Film Archive, da professionisti della post-produzione e degli effetti digitali a colossi come la Celestial Pictures o la Universe. Nutrite, però, anche le rappresentanze giapponesi con il grande stand Unijapan e cinematografie in ascesa, su tutte Singapore che con Royston Tan ed Eric Khoo sta dimostrando che questa grande ex colonia subtropicale non è solo uno dei centri del business mondiale.

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Per chi non lo conoscesse, occorre, però, specificare che il Filmart non è solo un'occasione unica per testare lo stato di salute delle cinematografie dell'estremo oriente, in una logica di scambio, di conoscenza e di approfondimento, per avviare trattative per diritti televisivi, distribuzione a largo raggio, per acquistare film in anteprima da programmare ai festival più importanti, ma racchiude altri significativi eventi come l'HAF, l'Hong Kong Financing Forum. Nato sul modello dell'Hubert Bals Fund di Rotterdam che, negli anni, ha consentito a tanti giovani di talento di realizzare i propri progetti, l'HAF tenta di attrarre finanziamenti di qualsiasi tipo, pubblici e privati, europei ed americani per film asiatici di autori emergenti ed altri più affermati, sulla base di una sceneggiatura praticamente definitiva e di preventivi estremamente dettagliati in ogni fase produttiva. Quest'anno, ai nastri di partenza c'erano i nuovi progetti di Fruit Chan, Royston Tan, Takashi Miike, Zhang Yang, Stanley Kwan, Apichaptong Weratasakul. Proprio quest'ultimo con Utopia e Royston Tan con 132 si sono aggiudicati i premi messi in palio dalla neonata Festa del Cinema di Roma e dall'Hong Kong Trade Development Council. Dei progetti che potranno o no divenire film veri e propri si sa ancora poco, anche se, leggendo le sinossi e le dichiarazioni dei rispettivi registi, si tratta della prosecuzione di percorsi estremamente coerenti con il proprio passato o di evoluzioni in linea con le opere precedenti. E' forse, proprio per questo che, ad esempio, è risultato quasi ovvio investire in una figura giovane e promettente come Royston Tan, cantore della solitudine e dell'esilio metropolitano nell'opulenza di Singapore o, puntare ancora sulla singolarità autoriale di Apichptong Weratasakul, autentico ufo nella sterminata produzione tailandese, dominata dai prodotti di genere.


 

Il Filmart sono anche gli Asia Screenings, ovvero una serie di proiezioni di film pronti per gli altri mercati. Nei due teatri dell'Hong Kong Convention Centre abbiamo rivisto Isabella di Pang Ho Cheung, già apprezzato al festival di Berlino, malinconica relazione tra un poliziotto corrotto di Macao e la bella e ribelle Isabella, ragazza dal futuro e destino incerto. Riecheggiano, nel cinema di Pang Ho Cheung le atmosfere esistenzialiste di Wong Kar-way, certi fotogrammi, alcuni cromatismi con, però, una minore capacità di reggere da parte di un fragilissimo tessuto narrativo che si spegne dopo appena mezz'ora. Altra proiezione "berlinese", perché il film era nel Panorama del festival di Berlino due mesi fa, Big Bang Juvenile A di Takashi Miike, perfetta esemplificazione, purtroppo, di come un grande regista possa rimanere tentato e finire in trappola, da tentazioni autoriali e cerebrali. Questo criptico e metaforico dramma, non riesce, infatti a liberarsi di una forte struttura teatrale di stampo brechtiano che lo rende un asfittico e ripetitivo esercizio di stile, logorroico e inconcludente. Nella presentazione dei film hongkonghesi per il 2006 si è, comunque, notata una certa vitalità produttiva, testimoniata non solo dall'uscita, in un solo anno, di ben tre film del prolifico Johnnie To con Election 2, Exiled e The Sparrow, ma, anche, ad esempio, con alcune commedie e prodotti di genere della neonata Focus Film fondata da Andy Lau.


 


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