FUTURE FILM FESTIVAL 2005 – Maturità e splendore dell'animazione giapponese: Otomo, Miyazaki, Aramaki e Kon

Anche l'edizione 2005 è segnata dagli anime del paese del Sol Levante: dal ritorno di Katsuhiro Otomo con “Steamboy” a “Il castello errante di Howl” di Hayao Miyazaki, fino all'esordio alla regia di Shinji Aramaki con “Appleseed”.

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Se l'edizione 2004 aveva dimostrato la grande attenzione del Future Film Festival per la cinematografia d'animazione giapponese, l'edizione 2005 conferma una volta di più questa tendenza. E proprio l'animazione giapponese sembra vivere un periodo di incredibile prosperità, con produzioni sempre più sviluppate e ambiziose, grazie alle quali sta ormai entrando rapidamente e prepotentemente nell'immaginario collettivo degli spettatori occidentali.

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Steamboy di Katsuhiro Tomo era forse l'evento più atteso; il film, che segna il ritorno alla regia dopo sedici anni del regista di Akira, e che è il più costoso mai realizzato in Giappone (2,4 miliardi di yen), non ha tradito le attese. Otomo ha lavorato a questo progetto per dieci anni, e i risultati sono evidenti soprattutto nell'altissima qualità dei disegni e nella grande precisione degli effetti speciali. Steamboy, ambientato nell'Inghilterra dell'800, in piena Rivoluzione Industriale, ha richiesto molte ricerche per rappresentare fedelmente l'ambientazione storica, ma anche un'attenzione particolare in virtù della presenza del vapore (in inglese steam), elemento determinante della storia, che trasfigura letteralmente le immagini con una patina lattiginosa, avviluppando i personaggi. Se Akira era un film proiettato verso il futuro, Steamboy si rivolge al passato, ma la contrapposizione è solo apparente, perché lo sguardo di Otomo è sempre lo stesso, una perdurante riflessione sul futuro del pianeta e sulla vana pretesa di controllarlo da parte dell'uomo.

Non ha deluso i suoi fan (ormai moltissimi, a giudicare dalle folle che hanno invaso le sale) nemmeno l'ultimo lavoro di Hayao Miyazaki, Il castello errante di Howl. Se La città incantata aveva mostrato l'abilità del maestro giapponese nel creare un universo di fantasia e immergervi lo spettatore, Il castello errante di Howl si spinge ancora oltre, inventando letteralmente un mondo che non ha nulla di terreno e che è, di fatto, un insieme di mondi diversi, ai quali il castello permette l'ingresso e la conseguente uscita, in una dimensione onirica e fantasiosa estranea a ogni coordinata razionale. Miyazaki dimostra ancora una volta di aver ormai raggiunto un'altissima capacità di tratteggiare personaggi inverosimili eppure sapientemente veri, e di saper maneggiare senza difficoltà la struttura narrativa delle sue storie, accompagnando le scene con musiche di rara raffinatezza e immagini di struggente bellezza. Il castello errante di Howl si distacca da altre opere per il tentativo di approfondimento psicologico e la riflessione sula metamorfosi delle età della vita, ma rimane pur sempre fedele ai temi noti (l'innocenza, per esempio) e non disdegna lampi comici irresistibili.


Notevole anche Appleseed, primo film di Shinji Aramaki, tratto da un manga molto popolare in Giappone e del quale nel 1988 era stata realizzata una versione non particolarmente riuscita per il mercato home video. Il film di Aramaki, di ambientazione futuristica e di estrema complessità tematica (l'argomento è il destino della razza umana, in una società nella quale essa convive con una stirpe di androidi-cloni), si segnala soprattutto per la sperimentazione tecnica delle immagini, realizzate facendo interagire il disegno animato tradizionale con l'elaborazione in computer grafica 3D. Il risultato, di grande impatto visivo, è una compresenza di differenti stili che amplifica la profonda complessità tematica e dona alla pellicola un realismo assai raro anche nelle produzioni americane contemporanee.


Merita infine una segnalazione Paranoia Agent di Satoshi Kon, prima serie televisiva del regista di Tokyo Godfathers (proiettato al festival nel 2004 e di prossima uscita). I pochi episodi mostrati (4 su un totale di 13) permettono però di comprendere il progetto complessivo, che mostra pienamente la sua elaborata struttura narrativa, costruita come una polifonia, nella quale ogni episodio sviluppa la storia globale secondo punti di vista diversi. Kon si dimostra un grande "esploratore" della società nei suoi multiformi aspetti, e lascia intravedere l'ombra del moralista.

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