GINETTO di Daniele Contavalli

Quella del mondo, è una strana esistenza in cui tutto si fa cenere, niente si scolpisce.

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Sta camminando dentro un corridoio fatto con la luce gialla della metropolitana, in mezzo a carni cialtrone, di gente che non gli piace e, in fondo, non si piace neanche lui!


 


Il vicino, aveva preso a cazzotti le figlie e la moglie all'alba, tra le altre cose le aveva legate al letto e prese a cinghiate.


I Carabinieri erano entrati in casa, sempre troppo tardi per fermarlo, e sempre troppo presto perché potesse fuggire. Avevano trovato le figlie di quell'uomo stese a terra, come baci perugina fracassati.


Ginetto li aveva chiamati, affermando che il suo vicino era eccessivamente su di giri.


Più tardi, sceso di sotto, passando davanti alla porta della loro casa, aveva potuto captare il tonto sguardo di riconoscenza delle due ragazzine, peraltro ancora legate sul pavimento, erano considerate parte integrante della scena del crimine, roba per la scientifica.


Le piccole sapevano, intimamente, che solo lui poteva aver fatto quella telefonata liberatoria.


La più minuta, quella che più spesso lo salutava durante i radi incontri nel fabbricato, cercava di parlare tra i denti spezzati, ma dalla bocca usciva solo un triste suono grottesco, uno strano soffio da serpente; la più' grande tossiva sangue, cercava lo sguardo rassicurante del televisore: l'elettrodomestico era stato danneggiato dal padre, infatti, dopo averle legate con estrema cura, aveva spedito la moglie dentro il video.


Ginetto sentito il botto, il tonfo della testa e le urla acute, giustificate delle bambine, non aveva avuto più dubbi ed era corso al telefono.


Il resto della vicenda si era risolta in danza di pellirosse davanti ad un letto macilento e gracchiante. La più' grande aveva già dimenticato Ginetto; lui, scendendo le scale, contraccambio' la dimenticanza; diede uno sguardo alla madre con le pantofole ciondolanti ai piedi, con le gambe oramai esamini affioranti dalla porta, si volse verso la scala e scese il gradino.


L'unico a piangere alla fine era stato il padre, portato via di forza dai poliziotti, mentre tutto il palazzo, travestitosi da stadio, si era messo ad urlare e fischiare.


Girato l'angolo sentì sbattere le portiere delle macchine dei carabinieri.


Il palazzo, svestitosi, torno' a dormire.


 


Niente si scolpiva nella vita di Ginetto,  solo lo stipendio di commesso in un locale notturno, un localino dove si poteva passare qualche ora con una donna e poi, con lei,  si passava alla stanza di sopra.


Trovava che ci fosse del male nelle attività dei clienti, ma era persuaso che questa sua considerazione non lo riguardasse più di tanto. Cercava di stare al suo posto con moderazione, e  con moderazione beveva, con moderazione mangiava, con parsimonia spendeva i soldini per i suoi pesci rossi e viola: aveva sempre avuto il dubbio che fossero piranhas, ma il dito dentro la brocca non lo metteva mai, carezzava invece la superficie dell'acqua con una penna di pollo, sia perché gli faceva venire i brividi, e questo lo rendeva ilare e cordiale, sia perché amava osservare l'imbuto nero delle loro bocche a fior d'acqua, quando succhiavano le particole di pane in superficie, e questo finiva per renderlo assolutamente filosofo e meditabondo.


In realtà, nerboruto d'aspetto, cosuto nelle mosse che faceva, sempre un po' ingombrante, manieroso e in ogni modo alla ricerca di un'adattabilità nello spazio, era  tipo pizzuto nel dire e con uno sguincio di bocca storta fatta depressione.


Faceva elemosine, e quello era il suo modo di scolpire i pochi spigoli delle sale di quella strana esistenza.


 


Dopo aver salvato i vicini era andato in centro, al cinema, in un d'Essai da ultima spiaggia: proiettavano il Gabinetto del Dottor Calligaris,…..lo sguardo fisso del  dottore generava in lui un acuto senso di disperazione; in quella poltrona solitaria, smaniava e si torceva nel guardare la sbirciata acerrima e ghignante del dottore. Se gli aveste chiesto di cosa trattava il film, non lo avrebbe saputo dire e, se aveste osato chiedere come finiva, non avrebbe potuto dire altro che le mani davanti al suo volto.


Poteva raccontare della poca luce che filtra in questi casi tra le dita, la poca possibilità di vedere oltre il male, oltre il dottore e i suoi malefici.


Poi, benedicendo Wiene, era uscito.


 


Davanti a lui la gente era un boscheto di fasci di fuoco; tutto ardeva e allora correva alle sue tasche, guardava il calendario: non era ancora cominciata la quaresima, ma non importava, quel boscheto ardente era da spegnere prima che brillasse lui e la sua mente.


Nelle tasche trovo' le ultime quattromila lire,.. scottavano!


Mentre camminava con il volto sciolto di dolore, con ancora in faccia gli occhi stilettanti di Calligaris, cercava qualcuno cui poggiare i soldi,.. voleva liberarsi del denaro.


Allora vide il povero davanti a lui, unico corpo ritto in un mondo di storti. Uno strano essere meschino, inginocchiato, pieno di sole sul viso; bruciava diverso e la mano aperta, la sinistra, e la mano destra, chiusa, con stretto cartello di cartone, dicevano solo di spegnere in esse quei soldi.


In quel momento una passo'. Era bella, con lunghe gambe bianche, senza un pelo, senza calze e con capelli vermigli. Sbiancò e bruciò per la rossa: il passo di lei calpestava il suo cuore di carbone; aveva gambe lunghe, coprenti le distanze di molte falcate.


Ginetto sentiva tacchi taglienti nel bianco degli occhi; rimase parallelo al povero che non guardava la rossa; lui, invece, la rossa la guardava eccome! poi pero' ebbe la forza, si volse alla mano bianca del povero, l'osservo' e ci ficco' dentro le prime mille lire; il povero smorfiando di gioia non bado' a Ginetto,  ne' lui pero' si volse  alla rossa, che intanto era scomparsa.


Ginetto, continuando la sua corsa tra le mura in fiamme, smaniava; l'atmosfera era arrossata dalle luci del tramonto e l'aria, secca e lucida, portava in evidenza i fatti di quella via.


Mentre decideva di incamminasi verso la metro, dentro un portone affioro' una coppia: lui era sopra di lei; si sentivano i respiri di entrambi, soddisfattissimi; vedeva la bocca della donna rivolta verso il soffitto in  ombra dell'androne; dell'uomo affiorava il grosso corpo, e l'intenso sforzo per averla su quelle scale.


Avvampo' e si volse in corsa, dimentico della rossa donna, del povero e degli amanti impudichi; corse verso la scala della  metro'; scendeva nera verso il basso, decomponendo scalino per scalino le immagini della via.


Un altro povero, stavolta in piedi, sporco e urlante, colto da un raptus di sofferenza lo aspettava: stava gigante, sull'imbocco della scala, con le gambe aperte e con i pantaloni spaccati sui ginocchi; una fiamma gli si agitava sulla pelle, ma il povero, disamorato, non soffriva di questo.


Ginetto lo guardo' come un avversario; il povero aveva dei vermigli occhi pieni di dolore; lui chino' il capo allo sguardo e con la mano frugava già la scala della sua tasca, tiro' fuori le mille lire, le bacio' e le mise nelle mani del gigante.


Quando l'ebbe doppiato, una vista ben più terribile lo riconvocò: c'era una casa che oramai bruciava tutta, lì, davanti all'ingresso delle scale mobili; poté vedere le finestre su cui correvano oscure palle di fuoco, quasi torce che passassero sopra  ad un sudario; dentro la casa, questa era la triste sequenza pentapartita: una donna che toccava un uomo davanti ad un altro; in una finestra vicina due bambini urlavano davanti la povera madre morta, ancora, più oltre, dentro un altro appartamento stava un uomo, trafugava dentro cassetti oramai carbonizzati; in un altro piano, uno, con uno strano ghigno, biascicava improperi al telefono, aspettando nervosamente altre storie, poi, più in alto, il volo del suicida.


Si girò sgomento verso il buio della scala non volendo più assistere. Scendeva piano verso il basso; solo un  rumore di pistone, dal ritmo scomposto, rompeva il silenzio, .piano piano,.. più piano, alla fine della scala mobile, mentre piangeva, c'era un terzo povero: questo invece rideva di gusto, con la mano ricattatoria, spavaldamente in richiesta di un oggetto di metallo, uno scudo per smettere di ridere.


Lo guardo' dal tapit-roulant mentre scendeva: quando gli fu davanti, il povero lo artigliò, gli diede al volo un bacio in bocca; si sentì lo schiocco della lingua nell'incavo della gola di Ginetto, questi fu sorpreso, irrigidito  accetto': era la pasqua di Ginetto e tutti i poveri, lì, dentro il sotterraneo, furono arcicontenti.


 


Non c'era fuoco laggiù, solo un gran rombo, Il rumore di pistone era mutato in un tuono continuo che copriva ogni strepito, si affretto' verso il rumore di quel tuono, sembrava che ci fosse un razzo in partenza per il tutto,.. forse per il nulla, chissà..


 


All'ultima              rampa un povero, ancora uno.


Lo scatto del braccio dentro la tasca fu repentino, le ultime mille lire galleggiavano in superficie, la mano nello sforzo riporto' i soldi dentro l'imbuto di cotone; per un momento sembro' che perdesse le mille lire dentro la tasca; vide il mare delle lacrime che correvano su per la gola, ma ritrovo' prima, in superficie, i suoi soldi; non aveva guardato il povero, non lo aveva visto bene, spaventoso, se lo trovo' così a confronto: senza occhi, con in bocca un  tappo di plastica rigida di color vermiglio, forse un grande ciuccio da adulto, perfettamente aderente a gran parte della nera sfatta faccia, e un vestito di panno nero; pieno di croste sul volto, portava con se tutto il buio dell'ultima rampa.


Ginetto ebbe paura! la mano con il denaro si fece pesantissima per lo schifo e per il suo giudizio implacabile. I soldi si dissolsero sul peloso guanto bianco del povero infelice; un mugugno di ringraziamento accompagno' la pedata in partenza.


 Ginetto era febbricitante: mentre scendeva, guardava i muri sporchi e grigi che lo accompagnavano di sotto, quando alzo' il collo, piegatissimo sul bavero del cappotto,  era faccia a faccia con il controllore.


– I biglietti laggiù, Signore.- disse questi, indicando una macchina obliteratrice arancione.


– Non ho denaro.- disse Ginetto, mentre invano frugava le tasche; ma in verità, inspiegabilmente, non aveva ansia per quella mancanza di soldi, si arrese all'evidenza di quella improvvisa penuria.


– Lei non può partire! deve tornare su per la scala di pietra, la vede la scala di pietra?! quella laggiù! è la più ripida, la più difficile di tutte le scale della zona, lì non ci sono scale mobili e tapit-roulant, anche per questo non la prende mai nessuno, ma è comunque certo che nessuno perde mai il treno.


Il controllore a quel punto rise, snello e coeso dentro la sua divisa: indico' una scala con alti gradoni irregolari, ancora più gialli per la luce dei neon; Ginetto divenne un arco senza corda e senza faretra, senza frecce da tirare ad improvvidi bersagli, così lentamente s'incammino'; il controllore da lontano fece arrivare una ultima smorzatissima voce:- Salga le scale e troverà l'uscita, si affretti! è tardi! la stazione chiude!! –


Porto' i ginocchi fino al petto per salire le scale, sudava e mentre procedeva sentiva il rumore del fuoco che veniva da fuori, aveva paura ed abbasso' quindi lo sguardo, sicuro che in quel povero moto infantile ci fosse la giusta difesa; quando giunse alla sommità della scala, il rumore violento delle fiamme gli entrava nella mente; guardando tra le pieghe del cappotto come da una feritoia vide il dottor Calligaris: lo guardava dallo schermo, in mezzo alle case, grande, grandissima era la faccia bianca di panna, con i suoi occhi densi per lo spettacolo che era lì intorno, fissi da su l'incendiato recital di fiamme bianche che era il suo cielo.


                Ginetto trovò la forza e tirò fuori la testa, sorrise vedendo i quattro poveri sotto quella volta nivea, tutti con le mani alzate in segno d'attesa, una piccola truppa pronta senza comandante.


Ginetto alzò gli occhi, guardò la faccia candida di Calligaris, portò la mano lentamente al volto e poté sorridere ancora………


 


 


 

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