Goliath, di Adilkhan Yerzhanov

Anche se con qualche pausa di troppo che rallenta il ritmo, il film riesce a costruire la verosimile metafora del potere in un revenge movie con evidenti richiami al western. Orizzonti Extra

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La Volpe ed il Leone, la forza e la furbizia, i simboli macchiavellici del potere. Parte da lì Goliath, dalle regole del pensatore fiorentino per esercitarlo ed avere la meglio sui nemici. Ma il Principe non si limita a fornire unicamente gli strumenti del dominio, suggerisce anche l’antidoto nel caso si trasformi in dispotismo. Karatas è un piccolo villaggio del Kazakistan controllato da una banda criminale al servizio di Poshaev, capo crudele e padrone indiscusso della zona, dove esercita una personale visione di concessioni e favori. Oltre all’uso delle armi insegna ai suoi seguaci tecniche di combattimento corpo a corpo ispirate alla kickboxing. L’antagonista riluttante è uno storpio, Arzu, volto tumefatto, rimasto vedovo con una figlia piccola da accudire, dopo l’omicidio della moglie Karina, proprio per mano di Poshaev. Una sproporzione di forze evidente, metafora fedele del racconto biblico del gigante Filisteo Golia, alto più di tre metri e considerato invincibile da tutti tranne che dal giovane ebreo Davide, riuscito infine a rivelare la sua vulnerabilità.

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Il film è un western con le caratteristiche del revenge movie, tra pistole, cavalli, ed ettari ed ettari di deserto polveroso e pietre. Una terra ostile, violenta e corrotta, la vita appesa ad un filo, la monotonia del tempo e lo sguardo perso nel vuoto, nella rassegnazione di un orizzonte sempre uguale. Esecuzioni, agguati, sparatorie. L’intento del regista è quello di fornire una rappresentazione di un’autorità che arriva ad immaginarsi intoccabile, rivestita del fascino muscolare di superiorità. Esempio perfetto dei leader carismatici di cui siamo circondati, impegnati a vendere promesse di ordine e sicurezza per nascondere la propria incapacità di gestire una società in maniera civile, ed incredibilmente seguiti dalle masse alienate che dovrebbero spodestarli. In quei germi resi malati dalla rabbia e dalla prevaricazione, resta muta ed in attesa la scintilla della rivolta, l’idea di scacciare il tiranno, dentro qualcuno di insospettabile. Invisibile tra gli invisibili, in possesso di energie che neanche sa di possedere. Ma noi rimaniamo. Noi siamo il popolo, noi sopravviamo dice Jane Darwell nel capolavoro di John Ford Furore. Goliath forse insiste troppo a catturare le emozioni sospese nel silenzio, ma in quelle pause trova anche il modo di distendere la storia per dargli una giusta struttura, e trasformare il sibilo della rivincita in una melodia molto articolata.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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