Homemade – La quarantena di Paolo Sorrentino su Netflix
L’episodio diretto dal regista italiano per la serie Homemade su Netflix, dedicata alla quarantena di diversi autori: ma il suo non è sempre stato un cinema di esilio?
Da qualche giorno su Netflix si trova Homemade, una serie ideata da Pablo Larrain che mette insieme diciassette brevi episodi girati durante la quarantena da diversi registi di tutto il mondo. Ce n’è uno diretto proprio da Larrain — molto divertente — che si intitola Last Call. C’è Ladj Ly alle prese ancora una volta con i suoi droni miracolosi e Kristen Stewart in preda alla paranoia nel suo appartamento di Los Angeles. E poi David Mackanzie, Naomi Kawase, Ana Lily Amirpour. E, da Roma, il nostro Paolo Sorrentino.
Partiamo da un fatto. La quarantena di Sorrentino non è così diversa dal cinema di Sorrentino. Mentre molti suoi colleghi ricorrono all’escamotage delle chat, del video-diario, del racconto in prima persona, il regista italiano non ci pensa minimamente a deviare dal suo percorso collaudato fatto di maschere, aforismi e personaggi pubblici. Sorrentino è Sorrentino, con o senza Covid-19. Anzi qui addirittura il meccanismo del suo cinema, il suo artificio, è messo a nudo. Scarnificato. Ridotto all’essenza, all’immobilità, all’evidenza del palcoscenico, alla bulimia di battute (“L’insicurezza è un lusso che non mi sono mai potuta concedere”, “La regina d’Inghilterra non sa fare un tè?”).
Per questo suo cortometraggio Sorrentino non ha nemmeno (più) bisogno di attori. Gli bastano i pupazzi. Il papa e la regina Elisabetta sono i protagonisti, con quest’ultima rimasta prigioniera in Vaticano dopo l’esplosione della pandemia. Poi brevi comparsate del “drugo” Lebowski e di Maradona, irrinunciabile come l’inclinazione per il grottesco e le citazioni dell’amato Céline (Voyage au bout de la nuit è il titolo che compare alla fine del corto).
Nel momento di maggior isolamento umano e sociale, con il solo smartphone come strumento di ripresa, Sorrentino non riesce a fare a meno dei suoi filtri, dei suoi schemi e delle sue proiezioni carnevalesche, ma anzi le rafforza, come se volesse prendersi una specie di rivincita poetica nei confronti dei suoi detrattori. Camuffamenti e calembourssono l’unica via per raccontare il mondo e forse se stesso. E la quarantena lo stato ideale per non sfuggire neanche stavolta a questo Sistema di figure e situazioni. Semmai il massimo che qui il regista e sceneggiatore concede al suo privato è il set, che in questo caso, visto il lockdown, non può che essere la casa dove abita con la sua famiglia: camere da letto, maxischermo, lavandino e librerie piene di libri (più un Oscar!).
Ma in fondo non c’è da stupirsi. Il suo non è sempre stato un cinema di esilio, abitato da personaggi chiusi nelle loro dimore/villette/carceri? “Il mondo comincia a capire cosa vuol dire essere privati della libertà, dover stare chiusi in casa, cosa che noi due viviamo ogni giorno” dice la regina al papa. I personaggi e le immagini di Sorrentino sono ontologicamente prigioniere. Per questo fino a qualche mese fa ci sembravano piene di morte, mentre oggi, ai tempi del Covid-19 e del distanziamento sociale, appaiono soprattutto tristi e, forse, persino familiari.