I non-fungible tokens: dalla crypto art all’NBA passando dal Nyan Cat

La recente vendita di un’opera digitale basata su un NFT per 70 milioni di dollari impone l’analisi di questo fenomeno in vertiginosa espansione. Speculazione blockchain o nuova frontiera dell’arte?

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No, questa volta la notizia non può essere liquidata con un Ok, boomer. La vendita fatta il 12 Marzo da Christie’s, la più celebre casa d’aste, del not-fungible tokens di Everydays: the first 5000 days, dell’artista digitale Beeple per 70 milioni di dollari – il che rende Mike Winkelmann, il graphic designer di Charleston dietro allo pseudonimo, l’artista più pagato al mondo dietro soltanto ai mostri sacri Jeff Koons e David Hockney – ha sbalordito non solo gli analogici frequentatori del mondo dell’arte ma anche gli stessi nativi digitali. Correlata alla vendita del file formato da un maxi jpg di 21.069 pixel x 21.069 pixel, costato sette anni e mezzo di lavoro per un totale di 5 mila opere realizzate ininterrottamente tra il primo maggio 2007 e il 7 gennaio 2021, si collega infatti l’improvviso lancio nel discorso pubblico del fenomeno dei non-fungible tokens. Ma cosa sono precisamente questi tipi particolari di tokens?
Gli NFT (da adesso li indicheremo spesso con questo acronimo) sono codici crittografici che certificano provenienza e proprietà di un determinato file digitale. Sono utilizzati nel variegato mondo delle blockchain e sono appunto token non fungibili, cioè dotati di una loro specificità che li rende unici e non intercambiabili. Finora sono stati usati prevalentemente nel mercato della cosiddetta blockchain art, chiamata anche crypto art, un movimento artistico emergente che se ne serve per il commercio di opere d’arte digitali. Chi acquista un NFT non entra in possesso del copyright, né dell’esclusività sull’opera, che resta visibile a chiunque, ma diviene semplicemente il detentore della “verifiably real thing“, come dice il sito di Ethereum, la società di criptovalute su cui è basata l’NFT. Insomma, per dirlo in altre parole, in un NFT non ci sono i dati dell’opera vera e propria ma solo i metadati del contratto che la lega all’ultimo acquirente. In una vendita NFT, infatti, tutti i computer collegati a una rete di criptovaluta registrano la transazione su un libro mastro condiviso, una blockchain, rendendola parte di un registro pubblico permanente che da una certificazione di autenticità che non può essere alterata o cancellata. Un sistema di scambi, come si vede, basato sull’idea pura di peer-to-peer che elimina alla radice le commissioni di esperti e/o società di consulenza e che può avere un impatto rivoluzionario in un settore come quello della vendita di prodotti artistici così fortemente elitario e capriccioso.
La natura ambigua della galassia delle criptovalute però, come capitato nel recente caso di Gamestop, ha fatto sì che i non-fungible tokens siano diventati essi stessi nel giro di pochissimo tempo un elemento finanziario destabilizzante in grado di generare una bolla speculativa di portata non quantificabile. Gli NFT erano diventati d’uso comune già alla fine del 2017 grazie a CryptoKitties, un gioco in cui si potevano e si possono ancora adesso allevare, scambiare e comprare, a suon di ether (la criptovaluta che alimenta la blockchain di Ethereum), razze di gatti – e cosa, sennò – in edizione limitata. Gli NFT assicuravano all’acquirente l’esistenza e la tracciabilità di una data quantità di felini digitali rendendoli merce collezionabile. Il successo dei Kitties è stato tale che alcuni gattini hanno raggiunto il valore di 170mila dollari.

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Ma l’avanzata dei NFT non si ferma qui. Più recentemente, il 19 febbraio di quest’anno, la celebre gif del Nyan Cat, uno dei meme più famosi del web, viene venduta all’asta, sul sito specializzato Foundation, al prezzo di 545mila dollari pagati in ether. Della notizia si occupa perfino il New York Times che in un editoriale da forma alla domanda che i neofiti del settore si erano inevitabilmente posti: perché qualcuno compra un meme che si può vedere gratuitamente in qualsiasi piattaforma social? Come ha detto efficacemente Dannie Chu, amministratore delegato di MakersPlace (piattaforma di compravendita NFT), la commercializzazione dell’immateriale e del gratuito risponde in realtà a bisogni primari di possesso da sempre esistenti nell’individuo: “Esistono centinaia di migliaia di stampe e riproduzioni della Gioconda, ma dal momento che non sono l’originale creato da Leonardo valgono decisamente molto meno. Lo stesso principio si applica agli NFT: puoi copiare e incollare un’immagine o un video ma l’originale, firmato digitalmente dall’artista, è ciò che ha valore”. Gli effetti pratici di questo processo relazionale non così banale come può sembrare a prima vista possono ravvisarsi dando un’occhiata a quello che già da qualche tempo succede nella lega professionista di basket più imprenditorialmente all’avanguardia, l’N.B.A. (nel numero 8 di SentieriSelvaggi21st analizziamo la loro incredibile risposta al Covid-19 e a BLM). La famosa associazione sportiva aveva già inglobato il fenomeno dei not-fungible tokens dando vita alla vendita di highlights “limitati” online su un sito specifico dove gli appassionati si scambiano, pagandoli in alcuni casi molto profumatamente, brevi clip ufficiali già visibili in tutti gli altri loro canali a mo’ di figurine digitali.

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Il giro d’affari complessivo di questo lauto settore per l’N.B.A ha già raggiunto i 400 milioni di dollari e si appresta ad essere copiato da altre leghe professionistiche. Anche il mondo dei comics statunitensi ha fiutato l’affare: l’azienda Veve, in collaborazione con DC Comics, ha iniziato a mettere in vendita versioni digitali di statue degli iconici personaggi del suo universo. È comunque l’intera crescita in generale degli NFT ad avere numeri così grossi da averli resi così importanti in settori non esclusivamente ludici e sportivi.

Secondo il portale Crypto.art, che aggrega i dati di alcuni dei più noti siti di rivendita di NFT, nel mese di novembre 2020 le vendite di arte basata su questi tokens avevano raggiunto il valore di circa 1,5 milioni di dollari. A gennaio avevano superato i 10 milioni e a marzo hanno già toccato quota 120 milioni di dollari. Il caso specifico della crypto art che trae le sue origini dall’arte concettuale ed ha una componente ideologica molto marcata, dato che nasce in opposizione al mercato e al capitalismo delle maggiori istituzioni artistiche, però non è esemplificativo dell’intero mercato degli NFT. Nonostante alcuni casi di redistribuzione paritaria degli utili che si sono sviluppati in ambito musicale dove in alcuni casi veniva inserita nel contratto una percentuale a favore del creatore dell’opera o dell’mp3 per ogni vendita successiva, la componente speculativa resta infatti in larga parte predominante.
Basti pensare che gli NFT, in molti casi, non contengono né l’opera d’arte in questione né l’oggetto digitale ma solo la transazione in cui essi sono apparsi. Ciò di cui l’acquirente diventa proprietario sono i metadata dell’opera conservati su blockchain, che riportano il nome dell’opera, una descrizione dell’opera e ciò che viene chiamato uniform resource identifier. Citando ad esempio il sopraccitato acquisto dell’opera Everydays: the first 5000 days di Beeple, il Washington Post ha rivelato che il collage è stato acquistato non da un collezionista ma da METAKOVA, pseudonimo dell’imprenditore, programmatore e angel investor nella tecnologia blockchain dal 2013 e soprattutto patron del fondo METAPURSE, il più grande fondo NFT al mondo, più interessato ad aumentare il valore dei propri investimenti piuttosto che espandere la sua collezione mecenatica.

In un certo senso la vera vertigine di questa realtà sta nel fatto che anche nel mondo digitale fatto di stringhe e numeri tutto ritorna ad essere accumulabile. Qualunque cosa può venire associata a un NFT ed essere messo in vendita. Alcuni esempi: il fondatore di Twitter, Jack Dorsey, ha messo all’asta il primo tweet di sempre, l’attrice Lindsay Lohan ha venduto un’immagine del suo viso per oltre $ 17.000 e lo youtuber Logan Paul guadagna 20mila dollari l’uno per ogni video delle sue partite al videogioco dei Pokémon. La deriva sembra inarrestabile: esistono già profili Twitter che trasformano in token qualsiasi tweet, che può in seguito essere “coniato” come NFT e diventare merce di scambio.
Con una spesa modica chiunque può creare Not-Fungible Tokens di opere altrui senza che l’autore dell’opera lo venga a sapere e guadagnarci senza che egli venga mai coinvolto. Un utente anonimo ha creato, ad esempio, NFT nello stile di Banksy che vende furbescamente basandosi sulla mancata richiesta di autentificazione del settore. Ma probabilmente, andando oltre queste rivendicazioni di giustizia sociale, la vera massa critica contro questo cui questo fenomeno si va a schiantare è il suo impatto ambientale: l’intero settore delle blockchain a causa dell’abnorme mole di dati trattati è fortemente energivoro ed ha un’intensità energetica devastante per il pianeta. L’artista Memo Akten ha provocatoriamente calcolato di aver prodotto con i suoi NFT 160 tonnellate di anidride carbonica in sei mesi, la stessa quantità che un cittadino europeo impiega nell’intero arco della sua vita. Nell’epoca dell’Antroprocene nessuna forma di scambio, mercantile o appassionata che sia, può permettersi un simile prezzo.

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