IL CASO – "Magdalene" e la Chiesa

Alcune autorità cattoliche contestano il Leone d'Oro di "Magdalene", associandolo a un pamphet anti-cattolico. "Sentieri Selvaggi" non ha amato affatto il film, ma si deve rivendicare a Mullan il pieno diritto di raccontare la propria storia. Oltretutto la "verità storica" del suo film è convalidata da testimonianze, documentari e libri sull'argomento.

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La posizione di "Sentieri Selvaggi" riguardo a Magdalene è emersa già dalle cronache quotidiane dal festival e dalla recensione di Francesco Ruggeri. Si è infatti contrari alla visione di un "realismo" in cui la rappresentazione è quasi sinonimo di esibizione, si è contrari a quel martirio visivo delle quattro protagoniste, in particolar modo nei confronti di Crispina, rappresentata come la Giovanna d'Arco di Dreyer resuscitata, che guarda le suore come la Falconetti guardava i giudici, sempre dall'alto in basso. Si è contrari soprattutto con Mullan nella parziale debolezza del momento della ribellione delle ragazze, dopo aver fatto accumulare rabbia per gran parte del film. E si sa che la ribellione al cinema è davvero qualcosa di liberatorio, da Jean Vigo a François Truffaut, da John Ford a James Cameron. Nel suo indubbio coinvolgimento narrativo (dato dalla potenza del tema), Mullan usa le stesse luci, gli stessi colori, simili angolazioni nell'inquadrare le protagoniste. Eppure in Magdalene, soprattutto all'inizio, si era creata quell'ambiguità magica (certo casuale per il cinema di Mullan) dove l'opera rasentava la struttura del film bellico: la camerata delle ragazze come quella dei soldati, l'entrata violenta delle suore come quella dei militari sadici. Ma evidentemente, nel cinema inglese – soprattutto, tranne qualche eccezione, quello degli ultimi 40 anni – la cronaca diventa una sceneggiatura limitativa, dove il cineasta, nella sua ansia di rappresentare, non crea perché ha paura che la forza della sua indignazione possa venire meno (Ken Loach) oppure squarcia l'intimità del dolore dei propri protagonisti per spettacolarizzarlo (Mike Leigh).

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Oggi, sui principali quotidiani nazionali, si legge delle polemiche della Chiesa a causa del Leone d'Oro a Magdalene. Fermo restando che, secondo "Sentieri Selvaggi" il film di Mullan non doveva avere il massimo riconoscimento (così come non lo doveva avere Monsoon Wedding l'anno scorso, Il cerchio due anni fa etc.), la storia dei festival è piena di Leoni, Palme (a Cannes) od Orsi (a Berlino) "sbagliati", che dipendono prevalentemente (non sempre totalmente!) dalla decisione della Giuria. Ma la posizione di alcune autorità cattoliche devono far scattare l'allarme. Già Valerio Riva,  consigliere di amministrazione della Biennale ha dichiarato: «Non voglio censurare nessuno, né il giudizio della giuria, ma ci sono cose che mi mettono grande sospetto: prima le polemiche sul film sull'11 settembre, e poi il Leone d'Oro a un regista che sostiene la tesi che i cattolici sono peggio dei talebani. I conti non mi tornano». Ma i giudizi più pesanti sono altri, dai sospetti ironici di Andrea Piersanti, presidente dell'Ente dello Spettacolo («La giuria evidentemente si è fatta influenzare dai giornali più che valutare il contenuto e la bellezza del film. Si tratta di un segnale strano da parte della prima mostra gestita dal centro-destra che premia un film sfacciatamente anti-clericale»), al cardinale Ersilio Tonini («È un film a tesi o racconta cose vere? Non si può pensare solo al valore estetico e trascurare la verità storica. Questo film invece mi sembra abbia il sapore del pamphlet») per finire a Gianni Baget Bozzo («Chi ha premiato quel film lo ha fatto solo per il suo contenuto anticattolico»).

Forse, a sconcertare maggiormente, sono più questi giudizi che il valore del film di Mullan. Qualitativamente Magdalene è l'esito mediocre di un fatto di cronaca, la repressione delle Sorelle della Misericordia nei conventi Magdalene in Irlanda nella prima metà degli anni Sessanta. Ma Mullan ha anche il diritto, ribadiamo, il diritto, di rappresentare quello che vuole. È il suo tipo di cinema ad essere vecchio, già stanco al secondo film, ma non la sua visione morale sulla cui buona fede non si dubita. Del resto questa operazione di "revisionismo storico", in cui la memoria, anche quella più recente, sembra essere ritrasformata – atteggiamento irrispettoso e incivile nei confronti di quelle persone che comunque hanno vissuto, in prima persona, certi drammi del passato – con cui alcuni esponenti della Chiesa si volgono sdegnosi per contagiare le coscienze dei fedeli, soprattutto quando è così urlata, rischiano di produrre l'effetto contrario. Non è il Leone d'Oro che da visibilità a un film. Ne sa qualcosa Hou-Hsiao-hsien, il cui Città dolente, premiato nel 1989, uscì nelle sale italiane solo nel 1994 per essere poi proiettato per pochissimo tempo. Alla fine sono i risultati del botteghino che possono alimentare la crescita del dibattito, le singole posizioni etiche. Del resto una simile ostilità della Chiesa, contribuì in parte anche all'incredibile successo commerciale de La dolce vita di Fellini. Todini, Baget Bozzo e Piersanti forse devono ricordare che sono proprio le polemiche di questo tipo che attirano il pubblico in sala. E sono proprio gli spettatori che sono liberi di esprimere il proprio giudizio così come Mullan è libero di fare il proprio cinema. Del resto sulla storia dei conventi Magdalene (l'ultimo fu chiuso nel 1996) ci sono libri, documentari, testimonianze. Il film di Mullan, contrariamente a quello che dice Todini, trascura il valore estetico ma non la verità storica. Quella è troppo indignata per poter essere falsa.

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