Il diario di Sisifo, di Mateusz Miroslaw Lis

Il pensiero di Camus rivive in questa rilettura contemporanea, dove la condizione esistenziale è ricreata e condivisa dalla macchina. Al Festival dello Spettatore di Arezzo oggi h 21:30, Cinema Eden

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La locuzione “deus ex machina” assume tutto un altro peso, alla luce de Il diario di Sisifo, primo film scritto interamente dall’intelligenza artificiale Chat GPT-NEO, diretto da Mateusz Miroslaw Lis.

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Frammentato e sparso nel testo filmico, il pensiero di Camus s’infiltra nella sceneggiatura (a tutti gli effetti, filosoficamente) assurda e rivive con un nuovo afflato contemporaneo. Il suicidio è considerato dal filosofo francese come una sensazione “incalcolabile”. Incalcolabile è proprio questo sentimento dell’assurdo, che diventa “calcolabile”, se non calcolo stesso, nella stesura della macchina.
La macchina si pone allora proprio come l’uomo assurdo descritto da Camus: l’uomo che non si separa dal suo tempo, l’uomo, come il Don Giovanni, che non crede al senso profondo delle cose, che si burla, che si sazia. L’uomo assurdo non spiega e non risolve, bensì prova e descrive: possiede un’indifferenza lucida.
In questo contesto, il personaggio più assurdo, secondo Camus, è il creatore.

Il diario di Sisifo si apre con l’immagine di una macchina ferma in mezzo ad un’autostrada spinta a mano da un giovane ragazzo. Così ha inizio quest’avventura, reale quanto artificiale. Quest’immagine dell’umano che spinge la macchina va presa letteralmente ed è emblematica del processo di lavorazione del film, così come lo è della condizione umana contemporanea.

La prima sceneggiatura scritta interamente dall’intelligenza artificiale Chat GPT-NEO mette insieme una storia che parla di suicidio. Adamo, nome che porta con sé la storia dell’uomo, è il protagonista di questo lungometraggio che spazia tra frammenti filosofici e una poetica meccanica, artificiale. Il fatto che si tratti di un prodotto così sperimentale pone lo spettatore in uno stato di visione altrettanto empirico. Ci domandiamo, ad ogni battuta, come sia possibile che a mettere in fila quelle parole sia stato un computer avanzato. In realtà, sono tutte frasi che il computer ha rimaneggiato e trasformato; un copia e incolla sofisticato che si basa su un immenso archivio letterario, a tutti gli effetti umano (Camus scrive che l’opera d’arte è al contempo la morte di un’esperienza e la sua moltiplicazione).

Il risultato, però, è pur sempre “artificiale”: e per quanto scomodo, ci conviene soffermarci più che sul film in sé, sull’idea del film. La prima sceneggiatura scritta da un’intelligenza artificiale indaga il suicidio di Adamo, il suicidio del “primo uomo”. Sembra proprio di trovarci di fronte ad una versione moderna di Hal, che però, stavolta, non viene portato in scena. Resta dietro le quinte, nutrito dagli umani con tutti i pensieri a cui è stato dato inchiostro, pronto a rimaneggiare quell’eredità, a nostro discapito.

Il viaggio che Adamo compie diventa ancora più paradossale. Una fuga dalla città in cerca della natura incontaminata, lì dove la macchina non è ancora arrivata. E infatti, proprio l’oggetto della macchina non riesce a compiere questo viaggio; troppo antropocentrico per il suo motore, che si ferma, abbandonando ogni sforzo. Il richiamo della natura viene quindi pilotato da quel deus ex machina che è la macchina in sé – aggiungendo una certa complessità a questo discorso.

La macchina non solo si sostituisce alla roccia che Sisifo è costretto a trascinare; la macchina ha anche preso il posto di quel Dio, temuto o fittizio che sia, che si pone come unico essere immortale. Il deus ex machina andrebbe forse tradotto in deus-machina.

La recitazione impostata del film è funzionale al discorso meccanico. Ci ritroviamo circondati da personaggi che comunicano in modo monotono, con voci robotiche. Personalità incomprensibili e contraddittorie cercano di alleviare il dolore esistenziale di Adamo. In lui ritroviamo un’eredità filosofico-letteraria che si rifà alle tradizioni più disparate.

Adamo ha qualcosa di Antoine Roquentin, il protagonista de La nausea di Sartre. È uno storico che riesce a vivere le sue passioni più facilmente con i morti, con l’arte. Non ha però, minimamente, lo spirito perverso di un personaggio sartriano. Questa mancanza è preoccupante, perché sono proprio quegli impulsi scomodi a rendere Antoine tanto umano. Adamo agisce trovando soluzioni ai suoi dubbi esistenziali, proprio come farebbe una macchina. Giovane e curato, la sua apparenza banale e poco ricercata si riflette nelle immagini che accompagnano il suo viaggio. Le riprese in autostrada unite ad una musica country leggera, dove le immagini si sovrappongono seguendo le luci del tramonto sembrano proprio il prodotto di un montaggio di Google Photos. La poesia meccanica si dipinge su quest’estetica mentre diventiamo l’ombra di Adamo e ci rendiamo conto che forse non è lui ad essere il Sisifo di questa storia.

La macchina si è sostituita a tutto. Il diario intimo a cui assistiamo ha perso quella componente che ritenevamo fondamentale: l’umanità. In cambio, la macchina creatrice si ritrova a condividere lo stesso dilemma umano, esistenziale. Adamo diventa il primo uomo a dar voce ad una meccanicità umana, che appena trova la forza d’esprimersi, in mancanza di un Dio a cui appellarsi, sancisce il suo bisogno di fine.

Il diario di Sisifo verrà presentato al Festival dello Spettatore di Arezzo, al Cinema Eden, giovedì 9 novembre alle 21:30.

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