Il fronte interno, di Guido Acampa

Le buone intenzioni del film, si disperdono in una rigidità che sembra preludere più ad un film-saggio nel quale dimostrare gli sviluppi di una teorica del racconto.

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Se c’è del buono nell’esordio di Acampa nel lungometraggio lo si trova in un certo gusto estetico per l’inquadratura, nella forma che il regista sceglie per conferire al racconto, sincopato e interrotto, una originalità narrativa che trova contrappunto nelle pause che, lavorando sul tempo della riflessione, ne sospendono lo scorrere alla ricerca di quella intimità che appartiene di diritto al film. È la costruzione di questo profilo interiore, onnicomprensivo e oggettivamente riconoscibile anche dallo spettatore, che diventa il tratto principale di un film che peraltro soffre di un accumulo di temi e situazioni che sembra restino sopite, come, ad esempio, il breve accenno al demoniaco che si perde per strada senza segnare di sé la storia, che naviga tra un reale riconoscibile e quel piano segreto fatto di sensazioni e ricordi, piccoli misteri quotidiani e invisibili e inspiegabili eventi.
Il cielo della cittadina di Santa Mira è attraversato dai jet che partono per le missioni di guerra in Iraq. In quello stesso luogo Gaudì che addestra cani, con i quali ha uno speciale rapporto, Dalia sua moglie, Clara sua figlia e i suoceri, tra cui il suocero ammalato di demenza senile e ossessionato dalla guerra, non sanno mettere ordine nella loro vita tra dissidi e incomprensioni.
Il fronte interno, tratto dal romanzo Santa Mira fatti e curisotà dal fronte interno di Gabriele Frasca, è quindi il tentativo di un racconto nel quale possa trovare spazio il raccordo tra l’anima universale del mondo, scossa da una guerra incomprensibile, e l’anima privata dei personaggi che la guerra subiscono restandone dominati, ma che al contempo combattono, smarriti, le proprie battaglie e vivono in solitudine le proprie angosce.
Acampa per mostrare la fragilità dei sentimenti, sottoposti al non narrabile della guerra che si ascolta da lontano, trova l’espediente del tempo che diventa anche struttura narrativa attraverso una insistita narrazione ellittica.
I temi che Il fronte interno ci pone davanti non sono peregrini, il problema è quello di dispiegare sullo schermo questi buoni propositi. Acampa lavora su un piano sostanzialmente astratto, per raccontare però qualcosa di quotidianamente reale. Il raccordo tra questi due livelli non è sempre semplice e il problema del film sta proprio in questa mancanza di fluidità nel rapporto tra questi due livelli del racconto.
A tratti eccessivo nell’astrazione e a volte fragile nel racconto di una quotidianità che non trova una efficace finalizzazione in funzione narrativa, Il fronte interno – bellissimo titolo che sembra riguardarci uno per uno – disperde le sue forze in quest’ansia di onnicomprensività e forse anche di prestazione.
Non sempre tutto è esemplare nel riassumere la condizione umana e se il tentativo è quello di riversare sul mondo dell’irrazionalità animale – qui rappresentata dai cani dotati di una straordinaria sensibilità – la soluzione alla incomunicabilità dei sentimenti che dà luogo alla fragilità e alla fatica delle relazioni, il tema avrebbe avuto forse diritto ad una maggiore sfrontatezza, che non si coglie a pieno in quella rigidità narrativa in cui il film sembra costretto. Le buone intenzioni del film si disperdono in questa rigidità che sembra preludere più ad un film-saggio nel quale dimostrare gli sviluppi di una teorica del racconto. È infatti nel finale che la storia sembra abbandonarsi a quel piacere del narrare che sedimentava in attesa di trovare sfogo e soluzione. Un finale nel quale il dramma umano di Gaudì si risolve nel circuito chiuso del tempo, che, ricominciando, torna per spiegare il presente.
Il film potrebbe cominciare, ma è qui che finisce.

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Regia: Guido Acampa
Distribuzione: Lapej. In collaborazione con Artex Film
Durata: 77′
Origine: Italia, 2021

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
Sending
Il voto dei lettori
3 (2 voti)
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