Il volto classico della sensibilità moderna. Un ricordo di James Caan

Partendo dal volto armonico e tormentato di James Caan si potrebbe mappare l’intera storia del cinema americano. “Una perdita immensa”, come scrive Michael Mann.

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“What a terrible and tragic loss. Jimmy was not just a great actor with total commitment and a venturesome spirit, but he had a vitality in the core of his being that drove everything from his art and friendship to athletics and very good times. There was a core of values within him about how people should be, more or less. It might be variable, the corners could be rounded with urban irony, but there was a line and it was non-fungible”. Michael Mann su James Caan (5 luglio 2022).

È proprio vero, il volto di James Caan poteva esprimere le emozioni più diverse ma incarnava comunque un sistema di valori riconoscibili che lo connotavano al di là di tutto. Ed ecco perché leggendo il commovente ricordo di Michael Mann e subito dopo rivedendo El Dorado di Howard Hawks mi sono tornate in mente queste lucidissime parole che Jacques Rivette scrisse nel lontano 1953: “Hawks dà una coscienza classica alla sensibilità moderna”. La sequenza dell’entrata in scena di James Caan in El Dorado, infatti, sembra veramente il punctum ideale per comprendere appieno questa frase: un giovane volto dai lineamenti armonici si staglia sotto un cappello appariscente e sproporzionato; un corpo statuario avanza con il passo fintamente svogliato di chi non ha mai usato una pistola ma ha il coraggio di entrare in quel saloon per vendicare la morte dell’uomo che lo ha allevato. Si sta esibendo per la prima volta sul palcoscenico del Western quel ragazzo di 26 anni, sotto lo sguardo vigile della leggenda John Wayne/Cole Thorton seduto in platea ad osservarlo e pronto a intervenire in prima persona ristabilendo le coordinate immaginarie del cinema classico. L’incertezza nei movimenti di James Caan e i suoi sgrammaticati cambi di tono mentre si presenta pronunciando il suo assurdo nome (“Alan Bourdillion Traherne, detto Mississippi”), sono elementi che scartano dalla perfetta partitura recitata dalle due grandi glorie di Hollywood (“chi è lui?” gli ripeterà per tutto il film Robert Mitchum) cogliendo magnificamente lo spirito del tempo (il film esce nel 1966). Quindi configurando quella sensibilità moderna che brama la statura del mito classico.

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Non sono tuo figlio“, dirà Mississippi a Cole. E invece… James Caan fa parte di quella generazione di giovani star nate artisticamente negli anni ‘60 (insieme a Redford, Duvall, Hopper, Beatty) che hanno assistito al tramonto del sistema dei generi della golden age hollywoodiana. Una sorta di fratello maggiore per la generazione di Pacino/De Niro/Streep/Burstyn, che ha per questo sempre custodito gelosamente quell’archetipico sistema di valori à la John Wayne rinegoziandolo con le istanze di un nuovo cinema. Una caratteristica che lo ha reso perfettamente in grado di interpretare eroi tragici e sottilmente fuori dal loro tempo come nei film del coetaneo Francis Ford Coppola. Pensiamo all’ex giocatore di football Jimmy “Killer” Kilgannon in Non torno a casa stasera del 1969: una magnifica interpretazione che fa emergere naturalmente il candore infantile di un hobo ferito nella psiche il cui passato ritorna nei flashback improvvisi di un melodramma sportivo anni ’50. E poi ovviamente Sonny Corleone, il violento primogenito di don Vito/Marlon Brando, un gangster istintivo e ferino che manifesta nel contempo un’incrollabile e tenera lealtà agli affetti che lo porterà alla tragica morte. E non a caso sarà il ben più scaltro fratello interpretato da Al Pacino (indiscutibilmente uno sguardo moderno e già consapevole di ogni cambiamento) a sopravvivere espiando tutte le colpe della famiglia Corleone. Nella meravigliosa scena finale del Padrino parte II il flashback di memoria è tutto dedicato a Sonny: quel litigio in famiglia con la sincerità aggressiva del fratello maggiore diventa il ricordo più puro e incontaminato di Michael divenuto nel frattempo un dannato della storia.

James Caan porta sempre a galla un’intima fragilità che diventa paradossale. I fantasmi interiori dei suoi personaggi balenano improvvisamente turbando il sorriso armonico e riuscendo a produrre ogni identificazione potenziale. Come nello stordente 40.000 dollari per non morire (1974) di Karel Reisz: una gamma di emozioni infinite transitano sul volto del professor Axel Freed capace di mutare pelle in un singolo frame e di alternare la luce della poesia nelle aule universitarie e la notte della perdizione nelle strade di New York. Uno dei personaggi più dimenticati e paradigmatici della New Hollywood. Negli anni ’70 James Caan si conferma un volto troppo moderno per i western classici e troppo classico per gli incubi della New Hollywood: la sua facilità a rifiutare ruoli importantissimi per l’industria (pensiamo a Kramer contro Kramer) testimonia proprio questa istintiva vitalità anacronistica che segue un sistema di valori fuori dal tempo.

La galleria di anti-eroi prosegue con Rollerball di Jewison e Killer Elite di Peckinpah culminando nell’esordio dell’autore chiave per la codificazione del cinema neo-classico anni ’80. Michael Mann, ovviamente: Frank, il ladro professionista di Strade violente, è per certi aspetti il ruolo della vita per Caan. Proprio perché come Mississippi, Sonny o Axel (ma in maniera molto più consapevole) Frank insegue con struggente determinazione il sogno di un tempo perduto custodito nell’immagine naif che tiene gelosamente piegata in tasca. Un’immagine che “contiene tutto”, come dice all’amata Tuesday Weld, e per questo è destinata a rimanere un’utopia irrealizzabile imponendo radicali scelte etiche.

Andiamo avanti. James Caan non poteva che diventare una perfetta figura paterna (sorridente e tormentata) per molti nuovi autori americani come Wes Anderson (Un colpo da dilettanti, 1996) o James Gray (The Yards, 2000). E ancora, la sua ironia non poteva non essere messa a frutto da molte commedie malinconiche o demenziali (lo stesso Adam Sandler ha scritto parole bellissime del suo rapporto con Caan sul set di Bulletproof). Infine, il suo corpo iconico basta strategicamente a se stesso in film autoriflessivi come Misery non deve morire, Marlowe – Omicidio a Poodle Springs o Dogville.

 

Il volto di James Caan esprime un’arcaica sincerità. Ecco perché nel ruolo forse più straziante della carriera, quello di Giardini di pietra dell’amico Coppola (un film emotivamente segnato da due lutti, il figlio del regista e la sorella dell’attore vengono a mancare in quel periodo), riesce in maniera miracolosa a far percepire i contrastanti echi di ogni personaggio interpretato in carriera. Un film esile e bellissimo, dove la trasparenza classica dello stile viene terremotata dalle fratture interiori e dai sensi di colpa del sergente Clell Hazard: “il mio problema è un affare di famiglia. Se in un incendio non puoi salvare tutti i tuoi figli, cerca di fare ciò che puoi… piangerai dopo”. Il volto di Caan che assiste al funerale di un figlio acquisito morto in Vietnam riassume molto di quella sincera tensione verso la purezza degli ideali infranta dalle ambiguità della Storia e delle storie.

Insomma, è “una perdita immensa” come scrive Michael Mann. Perché a partire dal volto scultoreo e tormentato di James Caan si poteva mappare l’intera storia del cinema americano.

Il mondo ha bisogno di sognatori“.
James Caan in Bootle Rocket (1996)

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