Il Padrino parte II, di Francis Ford Coppola
Eguaglia il primo capitolo in quanto a impatto spettacolare, ma probabilmente supera il modello per sperimentazione linguistica o riflessione critica.

“Quando me lo proposero dissi: girare un seguito de Il Padrino è una garanzia di fallimento, potrebbe rovinare tutto ciò che ho costruito. Tornai a casa e ci pensai. Mi resi conto che visto che era così facile fallire, beh, quella sarebbe stata la ragione migliore per affrontare ciò che pareva impossibile”. Francis Ford Coppola
È tutta in questa frase la grandezza di Francis Coppola: se compromesso deve essere, beh, che sia sempre al rialzo. In bilico tra l’indipendenza più fiera (la Zoetrope dei capolavori Rain People o La conversazione) e la potente macchina hollywoodiana dei Padrini, Coppola si muove sicuro come il suo Michael Corleone, vincendo sul campo ogni battaglia, perché impone sempre a se stesso la massima ambizione possibile. Il Padrino parte II, allora, non poteva essere solo un gangster movie, non poteva ricalcare la stessa formula del precedente, non poteva superare il fascino di Marlon Brando. Si doveva fare qualcosa di diverso, di più grande, inaspettato, unico… e allora ecco l’idea: due epoche, due giovani uomini, un padre e un figlio, interfacciati nel momento cardine della loro esistenza e uniti dal comune desiderio di fare il bene per la propria famiglia, con ogni mezzo, anche il più malvagio. Tra di loro (tra parentesi) ci sono i quarant’anni di sangue e tarantelle che abbiamo conosciuto nel primo capitolo della trilogia.

Coppola (qui come non mai) filma se stesso e le proprie origini: le celeberrime e abbacinanti carrellate laterali sulla nave Noshulu carica di immigrati italiani, carica di quei volti impauriti che solcano Ellis Island, la Statua della Libertà, le celle e le canzoni della madre Patria: un debito sentitissimo pagato dal regista alle proprie origini. E poi il film: nell’ascesa del giovane Vito Corleone (dal 1917 in poi) e di suo figlio Michael (dal 1958 in poi) Coppola interfaccia il Mito alla sua caduta, l’epica della Hollywood classica alla morte dell’innocenza nella sua New Hollywood. Continue dissolvenze incrociate che creano una dialettica tra tempi e affetti, tra l’imponente Robert De Niro (inquadrato come un novello Sovrano) e un sempre più pallido e vampiresco Al Pacino (qui allo zenit della sua impressionante animalità da actors studio). Coppola osa l’impossibile: costruisce il Mito

La riflessione di Coppola sulle istituzioni occidentali, allora, alza ancora il tiro e si estende a ogni meccanismo di potere (“senatore, noi siamo due facce della stessa medaglia” dice Michael) raggiungendo una tensione etica altissima e in alcuni punti insostenibile: Michael uccide il fratello traditore e genera la morte del figlio in grembo alla moglie Kay. Un erede che non deve nascere “perché tutto questo finisca”, urla disperata Diane Keaton, in una delle sequenze più scioccanti della storia del cinema. Alla fine rimane il volto pietrificato di Pacino, su quella panchina alla-fine-del-mondo, condensando ogni istanza etica ed estetica nell’abissale primo piano. Una somma coalescenza di epica, cinema, perturbante e Storia: Francis Ford Coppola è semplicemente uno dei più grandi artisti novecenteschi.
Titolo originale: The Godfather Part II
Regia: Francis Ford Coppola
Interpreti: Al Pacino, Robert Duvall, Diane Keaton, Robert De Niro, John Cazale, Talia Shire, Lee Strasberg, Gastone Moschin, Leopoldo Trieste, Troy Donahue
Durata: 202′
Origine: USA, 1974
Genere: gangster
Ciao Pietro,
una critica un po' troppo metaforica e retorica, secondo il mio punto di vista,
ma tutto sommato io e te condividiamo la stessa ammirazione, sia per Coppola, che per De Niro. Il film è eccellente, ottimo e superbo ed a maggior ragione se si vede in lingua originale, dove De Niro, Trieste e Moschin parlano davvero in italiano, anche se ovviamente il mitico Robert non parla in italiano per tutto il film.
Alla Prossima.