In Water, di Hong Sang-soo

In Encounters, Hong Sang-soo gira la sua ode ad una visione fuori fuoco della vita, all’indefinitezza come chiave per accogliere l’incompiutezza fatale di ogni gesto, artistico o esistenziale

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1. Introduction (puoi saltare direttamente al punto 2)
Avete presente quando durante una videochiamata sul cellulare perdete per un attimo la rete e l’immagine della persona con cui state parlando diventa un blur dai contorni indefiniti, e appare la scritta “riconnessione in corso” sul display? Ecco, questo è quello di cui parla il nuovo film di Hong Sang-soo, uno dei più grandi cineasti viventi. Riconnessione in corso. Abbiamo tutti sempre più confidenza con le immagini fuori fuoco, e con le figure sfocate: i pics incerti e frettolosi scattati dalle nostre fotocamere, che ci scambiamo ripetutamente per veicolare dei messaggi d’uso quotidiano, non pongono nessuna attenzione alla nitidezza del quadro, al contrasto dei volumi. Ci siamo abituati ad essere fuori fuoco, come la trovata di un vecchio classico di Woody Allen. Non è un problema vedere male, come fossimo sempre in buffering, o come certe versioni in bassa risoluzione dei film che girano sui torrent, e ci guardiamo pure quelle (come la canzone scritta da Hong Sang-soo e cantata da Kim Min-hee di cui in In Water ascolteremo solo e unicamente la registrazione gracchiante da cellulare). Quando ho avuto bisogno che mi venissero realizzate delle lenti a contatto personalizzate per il mio problema alla cornea, il contattologo passò quasi un mese a farmi provare lenti con cui vedevo malissimo, totalmente sfocato, e mi ci mandava in giro per delle ore per il quartiere (ovviamente accompagnato): “abbiamo bisogno che il tuo cervello si risvegli e si accorga che la maniera con cui è abituato a vedere da anni, non corrisponde alla realtà”. Che sia davvero questo quello di cui Hong vuole farci rendere conto?

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2. Ok, volete davvero una recensione? Eccola.
La maniera più veloce per suggerire cosa sia l’esperienza di visione di In Water (la prima indicazione la fornisce ovviamente già il titolo che chiarisce questa natura liquida dello sguardo offuscato dall’immersione subacquea) è che assomiglia a quell’evenienza, abbastanza familiare, di non aver ancora indossato gli occhialetti quando sul grande schermo è partita la proiezione di un film in 3D. Lo spaesamento è simile, e accompagna tutta l’oretta scarsa di durata dell’opera: a cosa è dovuto questo fastidio nella lettura chiara dell’immagine? Ancora una volta è la storia di un regista, che vaga nei dintorni di una spiaggia con la sua attrice e il suo d.o.p., tutti e tre giovanissimi, alla ricerca dell’ispirazione per un cortometraggio da girare in un’unica giornata: il riferimento autobiografico è alla celebre modalità con cui Hong Sang-soo costruisce i suoi film, con set ridottissimi (In Water è stato girato in sei giorni, come si è premurato di comunicarci il regista nella sua introduzione alla proiezione ufficiale) e una sceneggiatura che si scrive giorno dopo giorno, col proseguire della lavorazione. Il protagonista osserva la vita (sfocata) intorno a lui, guarda il mare, studia i dettagli dei muretti che costeggiano le stradine del villaggio, sembra non volersi decidere a girare, a trovare una storia, per quanto giusto accennata. Attrice e operatore attendono, un po’ straniti un po’ stizziti – nel frattempo, come è facile aspettarsi in un film del cineasta coreano, ingannano il tempo banchettando.

Ma è solo indecisione quella che fa sì che il regista passi le giornate in questa sorta di immobilità trasognata, o quella del non riuscire mai davvero a mettere a fuoco, a realizzare le fattezze delle cose esterne a noi, è una condizione più universale? “Penso a tutte le persone che esistevano prima che gli occhiali fossero inventati”, ha detto una volta Andy Warhol. “Deve essere stato strano perché ognuno vedeva in modo diverso a seconda di come vedevano i propri occhi. Ora, gli occhiali standardizzano la visione di tutti a 10 decimi. Questo è un esempio di come tutti quanti diventiamo simili. Ognuno potrebbe vedere a diversi livelli, se non fosse per gli occhiali.” Forse sta qui, la chiave: nell’abbracciare l’indefinitezza, accettare l’incompiutezza fatale di ogni sforzo artistico o esistenziale, di ogni scelta o sentimento. In Water instilla un dubbio ancora più metafisico, perchè l’appartamento dove dormono i tre ragazzi, ad ascoltare i loro racconti, sembra essere infestato da fantasmi, presenze che si fanno sentire nella notte, ancora un altro esempio di una figura per definizione inafferrabile, come lo spettro. Resta una svolta narrativa appena abbozzata, ma chi è davvero il fantasma in questa storia? Siamo sicuri che i personaggi si accorgano che il mondo intorno a loro è fuori fuoco, abbiano cognizione della loro vista annebbiata, come perennemente bagnata dalle lacrime?

3. Epilogo (a true story)
All’uscita dalla proiezione all’Akademie der Künste, due ragazze mi chiedono di far loro una foto, con lo smartphone di una delle due. È già buio e si posizionano in controluce sotto l’insegna della sala. Ovviamente il risultato è che la foto è completamente inintelligibile, i volti totalmente oscurati. Ma le ragazze si ostinano a chiedermi altri tentativi di immortalarle, senza cambiare spot – per quanto io cerchi delle soluzioni con posizioni diverse di scatto, continuerò ostinatamente a fallire nel compito: in nessuna delle foto che ho fatto, sarà mai possibile riconoscere le fattezze delle due figure al centro del quadro.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.7
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Il voto dei lettori
3 (2 voti)
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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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