Indivision, di Leila Kilani

Una narrazione a tratti impetuosa, una spiccata originalità, una reinterpretazione delle proprie tradizioni. In Concorso al Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina di Milano

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In realtà Indivision di primo acchito sa farsi film respingente e discretamente inaccessibile, come il carattere della sua giovanissima protagonista, muta per scelta e solitaria amante del birdwatching. Lo spettatore si ritrova con poche chiavi d’accesso a quel mondo familiare descritto per accenni sempre più eloquenti. Una esclusione che diventa perfettamente complanare allo svelarsi del dramma, al dispiegarsi del dramma. Dapprima le oscure storie della famiglia Bechtani, legate al loro passato, legano i fili di questa sotterranea trama, del family drama che si consuma in tre giorni in un clima di crescente tensione e successiva pacificazione.
La Mansouria è una vasta e ricca tenuta che la matrigna di casa Bechtani vuole vendere per incassare la lauta somma che le viene offerta. I suoi numerosi familiari si oppongono e tra questi la silenziosa ragazzina che tutto registra e tutto ricorda. Lei che per partecipare ad una chat tra appassionati di birdwatching si fa chiamare Cicogna nera.
Indivision sa indagare, con il suo sguardo obliquo, sugli invisibili e inconfessati rapporti familiari, in un gioco delle parti che assume i toni seri di una vera e propria cantata drammatica, forse anche una resa dei conti, che vede al centro della scena lo scatenarsi delle invidie, delle ripicche, dei risentimenti antichi che logorano anche le più solide relazioni. Di mezzo sembra esserci tutta una vita, una memoria che può andare in fumo, insieme alla piccola riserva ornitologica che Lina e il suo ombroso padre ornitologo come lei, precocemente vedovo, provano a difendere. Di mezzo c’è anche una baraccopoli che si è formata negli anni nella tenuta pronta ad essere smantellata dai poco scrupolosi investitori. La Marescialla – così è soprannominata la nonna despota pronta a vendere tutto – difende con un certo orgoglio di casta i suoi privilegi in un controcanto accentuato ad ogni forma di politically correct.

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La marocchina Leila Kilani, oggi con il suo film in Concorso al FESCAAAL32, ma già fattasi notare per il suo precedente Sur la planche, costruisce un film complesso che polarizza la sua attenzione sui primi piani, su una certa trasversale modalità di uso della macchina da presa che sembra più che altro appartenere alle forme più consuete alle cinematografie del nord Europa. Si accumulano, in un piacevole disordine compositivo, fatti e personaggi, dissonanze fondate su vecchi rancori passati, ma anche voci, suoni e rumori di fondo che accentuano quel disordine narrativo a tratti impetuoso e sicuramente inatteso. La famiglia Bechtani è dunque un microcosmo vivente che si sviluppa in un brodo di coltura magmatico e in un climax che durante i tre giorni durante i quali si consuma il dramma, si fa acceso e a tratti rovente. Il personaggio, principale, la piccola ma attenta Lina, lega i fili delle storie e per quanto apparentemente persa tra le sue passioni, e quindi ci guida in queste fitte e quasi rabbiose sotterranee trame. Il suo racconto diventa struttura portante della narrazione e anche qui assumendo le modalità di un, inatteso, quasi flusso di coscienza, conferisce al film un sapore letterario, per un nuovo e dirimente criterio di scrittura che, a nostra memoria, si fa strumento del tutto estraneo ad ogni narrazione che appartenga alle cinematografie maghrebine alla quale appartiene anche quella marocchina, così come abbiamo imparato a conoscerle.

Sono queste insospettabili caratteristiche a conferire ad Indivision un aplomb del tutto personale, una spiccata originalità, costituendo tutto questo un indubbio salto di qualità di quel cinema verso una reinterpretazione delle proprie tradizioni all’interno di un processo evolutivo che in realtà è già in atto da tempo. Leila Kilani si rivela regista coraggiosa che sa usare con dimestichezza sia la scrittura drammatica, sia il lavoro sulle immagini come forma intima e introspettiva, ma anche come possibilità di un sovvertimento dei canoni per un cinema che poco o nulla, finora, aveva avuto a che vedere con queste strutture narrative. Indivision sa dunque rappresentare non solo la personalità di un’autrice da tenere d’occhio, ma, più in generale, una più che piacevole sorpresa sulle acquisite libertà narrative che diventano impronta netta per un cinema che cerca e trova nuovi percorsi espressivi, nuovi approdi ad una inquietudine artistica di cui la giovane Kilani si fa autorevole interprete.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8
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Il voto dei lettori
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