INFINITY FESTIVAL 2005 – Una lunga settimana di passioni

Cento film da trenta paesi, due sezioni a concorso, omaggi, retrospettive, lezioni di cinema, "cinema italiano work in progress"; il valore e la ricchezza di Infinity Festival stanno qui, nella molteplicità di una proposta in continua crescita, anno dopo anno

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Forse nei prossimi anni anche tra chi non segue con regolarità il cinema si parlerà di Alba più come della città dell'Infinity Festival che del vino e del buon cibo; a quel punto il festival avrà davvero vinto la sua scommessa, avrà davvero, parafrasando una dichiarazione del suo direttore Luciano Barisone, "attecchito", messo radici stabili. Ma già ora Infinity può vantare una delle crescite più rapide che un festival abbia avuto in Italia; in quattro anni è diventato una manifestazione nota e apprezzata, pur nel panorama ormai saturo dei festival italiani.

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Le ragioni sono certamente tante, e forse nemmeno del tutto dimostrabili; di certo Infinity si è avvalso del forte radicamento territoriale di una passione cinematografica alimentata nel corso di anni, e della volontà di molte individualità, impegnate a diversi livelli, di realizzare qualcosa di importante non solo a livello regionale. Ciò spiega anche l'attaccamento che i cittadini sembrano aver dimostrato nei confronti del festival (ciò che non sempre accade), affollando le sale non solo la sera e non solo per le proiezioni più significative, ma in ogni momento della giornata. Infinity è diventato veramente il festival della città di Alba, e al tempo stesso quello che più di tanti altri continua a perseguire una propria linea di condotta ben precisa.


L'edizione di quest'anno (l'annata 2005, viene voglia di dire) rappresenta probabilmente il momento di reale "esplosione" di Infinity; il desiderio di farsi manifestazione aperta a ogni tipo di cultura, non solo italiana, è evidenziato dalla ricca offerta di film internazionali, frutto di una selezione seria e rigorosa, dall'ampio ventaglio di omaggi a registi quasi sconosciuti in Italia (Ildikó Enyedi, Hong Sang-Soo, Raphaël Nadjari, Laila Pakalnina, Mohammad Malas), dalla retrospettiva a un regista atipico come Maurizio Nichetti e da anteprime come l'acclamato Saimir di Francesco Munzi e La femme de Gilles di Frédéric Fonteyne. Ma certamente non vanno dimenticati incontri con personaggi di spicco del nostro cinema, come Stefano Rulli, Luca Bigazzi, Ludovico Einaudi, nel tentativo di coprire quanti più possibili ambiti professionali, e l'ormai consolidata e irrinunciabile sezione "cinema italiano work in progress", tesa a sostenere opere nazionali che con fatica cercano di arrivare alla produzione e alla distribuzione.

Di notevole livello la sezione a concorso, vinta dal giapponese The Soup, One Morning di Takahashi Izumi e con il premio alla regia assegnato al portoghese Andre Valente di Catarina Ruivo, nella quale era presente un solo film italiano, Onde di Francesco Fei, già presentato a Rotterdam. Una rosa di opere eterogenee e diverse tra loro, ma tutte di grande spessore artistico, estremamente curate dal punto di vista formale. Così come ha sorpreso la qualità dei film della sezione documentari, vinta da El cielo gira di Mercedes Alvarez, con premio alla regia per Il vecchio e il suo giardino di pietra dell'iraniano Parviz Kimiavi e menzione per L'anno di Rodolfo dei torinesi Daniel Ruffino e Federico T. Tonozzi.


Maurizio Nichetti ha a più riprese allietato l'ambiente con la sua comicità stralunata, degna erede di quella dei primi anni del cinema, in un festival che si distingue anche per l'atmosfera di grande compartecipazione tra staff, ospiti accreditati e pubblico, la cui distanza è spesso annullata dall'efficacia organizzativa e dalla funzionalità della sede, che permette la più completa aggregazione di tutti i partecipanti. La "spiritualità" delle opere richiama direttamente l'intenso cameratismo che ha pochi eguali in altri festival.


Infinity Festival è quindi sulla buona strada per conquistare altri preziosi risultati in termini di visibilità e riconoscimento; il che, si può esserne certi, verrà quasi da sé se esso continuerà a insistere sulle stesse politiche seguite fino a oggi, privilegiando le scelte autoriali e la qualità delle opere proposte. I margini di crescita sono ancora amplissimi, perché, di fatto, non esistono limiti a una ricerca della spiritualità nelle immagini, nelle voci, nei temi. L'edizione 2006 dirà fino a che punto il festival avrà fatto tesoro del patrimonio accumulato finora.

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