Interceptor, di Matthew Reilly

Vorrebbe essere il canto del cigno dell’action ai tempi della Streaming Age ma si rivela una papera che starnazza di eroine #MeToo e terrorismo ideologico, mosso in realtà dal Denaro. Su Netflix

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Per l’utilizzo dei veri McDonnell Douglas F/A-18 Hornet, probabilmente il tipo di cacciabombardiere più iconico dell’esercito statunitense, nel recente Top Gun: Maverick diretto da Joseph Kosinski, Glen Roberts, capo dell’ufficio media del Pentagono ha negato di aver richiesto modifiche al copione spiegando che “un film non dev’essere una lettera d’amore ai militari per avere la cooperazione del Pentagono. Deve sostenerne l’integrità“. Che è già tantissimo, ci permettiamo di controbattere noi, considerato il fatto che su schermo dare per oggettiva la probità delle forze militari (soprattutto quelle U.S.A., le più retoricamente patriottiche del mondo occidentale), equivale in un certo qual modo a sostenerne la causa o mostrarle in ogni caso da un’angolazione supina.

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In Interceptor, disponibile su Netflix, la perdurante sotterranea influenza del Pentagono sulla stesura degli script a tema bellico sembra riportare le lancette dell’orologio politico del 2022 indietro di almeno un quarantennio. A questa prima considerazione sul film dell’esordiente regista australiano – strana figura di scrittore di thriller editoriali di discreto successo che prova la sortita in ambito cinematografico – possiamo aggiungere che il piano industriale della piattaforma di streaming di Reed Hastings negli ultimi anni s’è concentrato sull’esplorazione a tutto tondo dell’action, dal recentissimo The Gray Man dei fratelli Russo a Tyler Rake di Sam Hargrave fino all’instant cult 6 Underground di Michael Bay.

Insomma, Interceptor poteva e voleva essere nelle intenzioni un omaggio a quel particolare filone del genere che tra gli anni Ottanta e Novanta ha lanciato la figura di sornioni antieroi non privi di fragilità che, seppur all’interno del corpo di polizia/agenzie investigative e senza mai metterne in discussione le regole, impavidamente affrontavano orde di terroristi: John McClane, Martin Riggs e Casey Ryback. Qui la storia racconta dell’attacco messo in atto da due gruppi mercenari per mettere fuori gioco le due basi militari degli Stati Uniti in grado di lanciare missili che intercetterebbero – da qui il titolo – e distruggerebbero le testate nucleari che una potenza straniera vuole lanciare sulle sedici principali città degli Stati Uniti. Il primo raid ha successo, come si vede nelle prime allarmate e sanguinolente sequenze, il secondo ha da subito un intoppo imprevisto: la presenza del capitano J.J. Collins, ufficiale dell’esercito assegnata per caso alla base superstite, a mo’ ripiego per una decorata carriera che ha subito un forzato arresto. Già, assegnata, perché la prima variazione è di genere: non più un Bruce Willis in canotta bianca (in ogni caso esplicitamente omaggiata sin dalla locandina) e piedi scalzi o il villoso Mel Gibson ma un’ Elsa Pataky ignobilmente perseguitata dai suoi stessi commilitoni dopo aver denunciato la molestia sessuale di un suo diretto superiore.

 

Dopo decenni di bonaccia action quest’intrigante premessa narrativa dovrebbe fornire una nuova ed attuale backstory alla sua protagonista, non solo più in linea col dibattito pubblico (che è sempre un ottimo modo per ovviare alla finitudine delle storie) ma in grado di rinnovarne anche i codici psicologici. Purtroppo Interceptor calibra male questa scelta di scrittura riducendola a semplice ed apatica lotta individualistica della valorosa Collins contro il maschilismo della sua istituzione. Il modello è insomma Atomica bionda, di David Leitch ma il risultato è più vicino all’innocuo Kate, di Cedric Nicolas-Troyan. Anche nei frequenti e furiosi faccia a faccia con il capo dei terroristi Alexander Kessel, presunto esperto in “condizionamento psicologico” che in realtà si fa turlupinare piuttosto grossolanamente in un paio di occasioni, la questione non viene mai esplicitata nei suoi termini politici e quasi quasi ci si trova a rimpiangere il mancato uso della parola patriarcato. Così da una parte Reilly e l’esperto sceneggiatore Stuart Beattie puntano alla femminilizzazione del protagonista dell’action ma dall’altra, in maniera schizofrenica, sembrano voler rassicurare lo spettatore fornendogli la solita caterva di stereotipi di caratterizzazione. Ecco allora che Collins non prende nemmeno in considerazione l’ipotesi di vendersi al nemico, a differenza del velleitario Kessel che dietro ai suoi sermoni anti-occidentali cela il solito asservimento al denaro; che il capitano ha qualcuno da cui tornare, una figura che allo stesso tempo gli fa da continua fonte d’ispirazione (il padre, nel più imbarazzante dei cliché sulle “donne forti”); che il soldato, nonostante le forti perplessità scaturite dal suo violento vissuto, continua a battersi stoicamente per la salvezza di tutti i suoi compatrioti. “Siamo gli unici che separano gli Stati Uniti dall’Apocalisse“, conferma Collins all’esperto di informatica indiano-americano Rahul Shah, come a voler sottolineare la straordinarietà del suo ultimo piano di lotta (evitiamo spoiler ma non basta scomodare la teoria dei giochi per nutrire legittimi dubbi su quella sorta di finale “hide & destroy”), divenuta missione dopo l’investitura del Presidente degli Stati Uniti, donna anche lei che, come la sua protetta, siede al vertice della sala dei bottoni affiancata da uno stuolo di soli uomini.

Un’ultima notazione: Interceptor è scritto, come detto, da Matthew Reilly e Stuart Beattie, australiani, così come il produttore Chris Hemsworth (che si ritaglia un cameo di stampo waititiano confermando come sia particolarmente attratto ultimamente da questo tipo di comicità). Ecco allora che la quintessenza del pensiero americano e dei suoi apparati nella galassia dell’audiovisivo appare più evidente quando è affidata alla scrittura degli stranieri che, per condiscendenza produttiva e/o acquiescenza ideologica, in maniera sorprendentemente schietta rendono la visione del mondo di una data epoca meglio del capo dell’ufficio media del Pentagono: per ottenere la cooperazione di Netflix devi essere mateticamente calcolabile riducendo la tua visione politica del presente a merce.

 

Titolo originale: id.
Regia: Matthew Reilly
Interpreti: Elsa Pataky, Luke Bracey, Aaron Glenane, Mayen Mehta, Paul Caesar, Belinda Jombwe, Marcus Johnson, Zoe Carides, Colin Friels
Distribuzione: Netflix
Durata: 99′
Origine: Australia, USA 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
1.5
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Il voto dei lettori
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