La programmazione di Fuori Orario dal 1° al 7 ottobre

Prosegue il ciclo sul rapporto tra cinema italiano e avanspettacolo. Poi L’Atalante di Vigo, Liverpool di Alonso, Contretemps di Pollet in prima tv, Bressane e Ruiz-Sarmiento.

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CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

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Domenica 1 ottobre dalle 2.05 alle 6.00

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

presenta 

LUCI DEL CINEMA’ (11) 

Rivista, varietà, avanspettacolo tra cinema e televisione

a cura di Paolo Luciani

LE RAGAZZE DI LOLLY – Vietato ai minori di 14 anni

(Italia, 1993, col., dur., 44′)

Regia Rony Daopoulos. Fotografia: Stefano Pancaldi. Montaggio: Francesco Puggioni.

La trasmissione STORIE VERE curata da Anna Amendola  è tra i migliori esempi di quella “tv-realtà” che la Rai Tre di Angelo Guglielmi impose come nuovo modo di fare televisione. In questa puntata, diretta da una filmaker di razza come la Daopoulos, cogliamo il momento finale della storia dell’avanspettacolo; la regista ci accompagna al cinema teatro Volturno, inaugurato nel 1922 come teatro di rivista, zona Termini, Roma. Ora è una struttura fatiscente, da anni trasformato in sala a luci rosse; ma l’intraprendente Lolly, ex   trapezista, è riuscita a costruirgli una nuova identità; al film “zozzo” abbina uno spettacolo di spogliarello, con una sua compagnia di ragazze; il successo è immediato, le ragazze di Lolly, capaci di instaurare un rapporto quasi di confidenza ed amicizia con il loro pubblico, diventano un piccolo fenomeno che interesserà anche la televisione. Ne conosceremo molte, con le loro storie, come incontreremo gli spettatori, spesso veri e propri habitué, giovani ed anziani, dal garzone all’eroe di guerra, dal pensionato allo studente…

LE RAGAZZE DELL’AVANSPETTACOLO

(Italia, 1962, b/n, dur., 14′)

Regia: Luigi di Gianni
Una giornata di avanspettacolo di infimo ordine a Roma, nel vecchio cinema-teatro Altieri. L’occhio di Di Gianni segue la vita delle ragazze del teatro, vere  “impiegate del desiderio”, in una giornata tipo, dove la loro esibizione quotidiana può iniziare nei luoghi più strani per fare delle veloci prove per uno spettacolo, poverissimo, che  rappresenta però il momento clou nella  giornata degli spettatori, tutti uomini, del glorioso cinema Altieri.  Siamo ormai già alla fine del boom economico nazionale, la televisione ha inglobato e riciclato i protagonisti, grandi  e piccoli, del nostro teatro di varietà ed avanspettacolo, lasciando ai soli Garinei e Giovannini il compito di preservare la storia del nostro teatro di rivista con la costruzione delle loro grandi commedia musicali. Ma l’avanspettacolo, nelle sue forme più “degradate” , ma allo stesso tempo più “essenziali e primitive”, continuerà ad esistere ancora per molto tempo, con gli spettacoli di spogliarello, tutto quello che la tv ed il cinema ancora non possono neanche avvicinare. Qui Di Gianni non ha bisogno nemmeno di dialogo, a sottolineare una condizione di estrema miseria, ma anche di resilienza.

VITA DA CANI      

(Italia, 1949, b/n, dur., 100′)

Regia: Steno e Mario Monicelli

Con: Aldo Fabrizi, Tamara Lees, Gina Lollobrigida, Delia Scala, Bruno Corelli, Furlanetto, Enzo Maggio, Aldo Giuffrè

Franca (Tamara Lees), abbandonato il lavoro, conosce a Roma Vera (Delia Scala), una ballerina, ed entra far parte della sua compagnia. Durante  una tournée al nord Italia le due donne si accompagnano ad altrettanti uomini. Franca se ne va con uno e Vera, che respinge l’altro, torna in compagnia. Franca è sostituita da Margherita (Gina Lollobrigida) che ottiene un gran successo. Quest’ultima farà carriera, Franca accetterà un matrimonio di convenienza, ma incontrato l’ex  fidanzato, diventato ricco, disperata si uccide Vera invece sposerà un bravo ragazzo. (Roberto Chiti, Roberto Poppi, DIZIONARIO DEL CINEMA ITALIANO, Gremese).

FABRIZI MATTATORE TV – antologia apparizioni televisive

(Italia, 2023, b/n & col., dur.,  90’)

A cura di: Paolo Luciani

Una antologia ragionata di apparizioni televisive di Aldo Fabrizi, dove spesso ripropone alcune figure e sketches del suo repertorio classico, quello che già presentava nei teatrini romani negli anni ‘30/’40. Negli anni ’60 Fabrizi rinnova in televisione la sua popolarità, mai venuta meno nel decennio precedente, anche grazie ai tanti film fatti di una comicità definita  “neorealista” , quella che, anche nei lavori da lui diretti, gli permetteva di essere in sintonia con il paese. L’ ampiezza dell’ascolto tv. Con le partecipazioni o le conduzioni di trasmissioni di enorme successo, paradossalmente, ma fino ad un certo punto, si amplificano le caratteristiche del suo personaggio più orientate verso bonomia e qualche punta di qualunquismo, soprattutto se alle prese con le  novità di costume che si imponevano  presentavano tumultuosamente.

Nel montaggio vedremo Fabrizi impegnato in trasmissioni come: MILLELUCI 1974, JOHNNY 7 1965, STASERA RITA 1965, CANZONISSIMA 1958, A TAVOLA ALLE 7 1974. IO CI PROVO 1970, DOMENICA E’ UN’ALTRA COSA, LINEA CONTRO LINEA 1968, LEGGIAMO UN FILM 1970

 

Venerdì 6 ottobre dalle 1.45 alle 6.00

UN FILM NON COME GLI ALTRI. OLTRE E DOPO LA NOUVELLE VAGUE (OMAGGIO A JEAN-DANIEL POLLET) (15)

a cura di Fulvio Baglivi e Roberto Turigliatto

CONTRETEMPS                         PRIMA VISIONE TV

(Francia, 1988, b/n e col.,  dur., 101’, v.o. sott., it.)

Regia: Jean-Daniel Pollet

Con Contretemps, film unico nella storia del cinema, stupefacente e misconosciuto, Pollet compie un lavoro di distruzione e di ricomposizione delle sue opere precedenti, realizzato insieme alle persone che gli sono più vicine, il musicista Antoine Duhamel, gli scrittori Philippe Sollers e Julia Kristeva, la montatrice Françoise Geissler.. A partire da brani  di Méditerranée, Bassae, La Femme au cent visages, Les Morutiers, Pour mémoire, L’Ordre (oltre che da Skinoussa, paysage après la chute d’Icare di Jean Baronnet), crea un film totalmente nuovo, in cui  attraverso un lavoro magistrale di montaggio tutte le sue immagini precedenti entrano in un altro gioco, vorticoso, grandioso, a spirale. Una riflessione sul tempo, la differenza e la ripetizione, la luce, la melodia, in cui si inseriscono le riflessioni di Sollers e Kristeva e la musica di Duhamel.

“Con Contretemps ho fatto una specie di testamento. Dopo due rifiuti dell'”avance sur recette” per Tunc di Lawrence Durrell, che cosa potevo fare? Avevo un vecchio tavolo di montaggio che mi seguiva da sempre. Scompongo i miei film. Mi metto a fare ciò di cui avevo voglia da un pezzo: passare dai cinquanta minuti di Méditerranée a un film-saggio di un’ora e cinquanta”. (J.-D. Pollet, 1989).

Ormai i film bellissimi (tra i più belli degli ultimi  anni) frutto del lavoro di ripensamento e di riscrittura operato da diversi autori con frammenti dei loro film precedenti (o anche con film interi), sono tanti, uno diverso dall’altro, e solo apparentemente «testamentali», anzi animati da un’energia che saltella e danza agilmente  sui dislimiti di metamorfosi cosmiche: da Paulo Rocha  a Julio Bressane, da Ivan Cardoso a Andrea Tonacci, da Jean-Marie Straub  a Jonas Mekas   Un movimento che era stato preannunciato fin dal 1988  proprio da Pollet  in  Contretemps, il cui titolo polisenso (musicale ma non solo) può forse riunirli tutti. Con questa notte termina il ciclo dell’”oltre la nouvelle vague”, in omaggio all’autore che con Godard si è spinto più oltre di tutti.

RUA APERANA  52                      

(Id. Brasile, 2012, b/n e col., dur., 81’, v. o. sott., it.)

Regia: Julio Bressane

Rua Aperana 52,  presentato in prima mondiale  al  festival di Rotterdam,è  il frutto di un lavoro di montaggio di energia e raffinatezza estreme, sorprendente ed emozionante, in cui Julio Bressane non solo utilizza diverse fotografie scattate tra il 1909 e il 1955 (il padre, la madre, lui bambino, la casa di Rua Aperana 52), ma rimonta estratti di 25 film – intere sequenze o brevissimi frammenti – per lo più girati negli stessi luoghi (la strada, la montagna dei  Dois Irmãos, l’oceano Atlantico con le sue isole all’orizzonte), nel corso di oltre cinquant’anni: dai film di apprendistato del giovane Julio con la macchina 16 mm. Regalatagli dalla madre nel 1958-1959, fino a Erva do Rato, del 2009,  comprese immagini  ancora mai mostrate (da A Fada do Oriente, girato in Marocco nel 1972, e da Viagem através  do Brasil col viaggio in Afghanistan del 1973). È forse la prima volta che un cineasta pratica un lavoro così ampio, preciso e fotogrammatico sul corpo dei suoi stessi film, un’operazione di “spostamento” che per forza inconscia si fa forma del pensiero, fantasmagoria della luce, fantasia musicale. La strada a serpentina che sale lungo la montagna (figura barocca vista e rivista innumerevoli volte in un gioco di ripetizione che entra in risonanza con il modo di avanzare del film stesso e con l’intera filmografia del regista ), nella sua a scesa al settimo cielo ci porta lontano, verso l’infinito,  oltre l’infinito. “invenzione del paesaggio” di questo film,  in cui agisce  ancora una volta quella “forza aborigena del cinema” che in Bressane è anche Atlas della memoria, memoria della storia e memoria della preistoria. (Roberto Turigliatto)

“L’ho pensato come un geo-film, una topografia, la geografia di un luogo. Un luogo non molto vasto ma molto ricco come paesaggio. È un paesaggio che possiede in sé la forza dei quattro elementi, pieno d’acqua, d’aria, di fuoco e di terra. E anche il paesaggio di un grande passato, di un grande segno preistorico. È sempre questo, secondo me, il grande tesoro culturale dell’America, il mondo prima del XVI secolo. Questo luogo di dimensioni limitate, questa piccola geografia, appartiene a questo mondo, contiene in sé tutta questa ricchezza, questo tesoro che oggi viene dimenticato e perfino nascosto alla nostra esistenza. (…) Tutto è autobiografia, conosciamo bene questa mitologia. Ma questo film non ha nulla di autobiografico per quanto riguarda la costruzione della forma. Le fotografie sono quelle dei miei genitori, di me bambino; ma si tratta di qualcosa che può essere sensibile soltanto per chi mi conosce. Gli altri non possono sapere se si tratta di me o di un altro bambino. Naturalmente ci sono i sentimenti, le sensazioni, le passioni: tutte cose presenti in quelle immagini. Ma per quanto riguarda il montaggio ho lavorato sull’idea della costruzione del paesaggio: è questa la cosa importante in queste immagini. (…) Per me questo film rivestiva una grande importanza soprattutto per un’idea di montaggio, il montaggio come forma di pensiero. Ho “spostato” molti miei film precedenti, utilizzandone delle parti, ma tutti questi film sono stati “dati” a un altro film, forgiati in un altro film. Questo film non ha nulla di autobiografico o personale, è semmai un biografema, nel senso di Roland Barthes, ovvero il biografico al di là della biografia”. (Julio Bressane)

 

Sabato 7 ottobre dalle 1.40 alle 7.00

LA BALLATA DEL MARINAIO ovvero L’ESILIO E ALTRI NAUFRAGI 

a cura di Lorenzo Esposito

LIVERPOOL

(Id., Spagna-Argentina-Olanda, 2008, col., dur., 83’, v.o. sott. it.)

Regia: Lisandro Alonso

Con: Juan Fernàndez, Giselle Irrazabal, Nieves Cabrera

Fuori Orario torna a programmare un film di Lisandro Alonso, cineasta argentino assente da un po’ di anni dalle scene dopo JauJia (2014). Come nei precedenti La Libertad, Los muertos, Fantasma, andati in onda gli scorsi anni anche in Liverpool tornano i temi della solitudine, la sconfitta, la lontananza, questa volta la natura e il paesaggio sono ancora più forti, segnati dal bianco della neve.

Nel mezzo dell’Oceano Atlantico, Farrel chiede al capitano del cargo su cui lavora di farlo scendera terra: vuole tornare dove è nato per sapere se la madre è ancora viva Farrel ha lavorato come marinaio durante gli ultimi venti anni. Si è sempre ubriacato fino a non reggersi in piedi e ha sempre pagato le donne con cui è andato a letto. Non ha mai avuto un amico.

Quando arriva alla città innevata in cui è nato e dove ha vissuto i primi anni della sua infanzia, scopre che la madre è ancora viva, e che nella sua famiglia c’è una persona in più.

“Mi interessava filmare una storia che contenesse il mare, porto, neve, freddo e l’alcol, tanta montagna e solitudine”. (Lisandro Alonso)

IL MARE IMMUTABILE

(The Unchanging Sea, USA, 1910, b/n, muto, dur.,14’)

Con: Arthur V. Johnson, Linda Arvidson, Gladys Egan, Mary Pickford

Un marinaio salute la moglie e parte per un viaggio, un naufragio gli farà perdere la memoria e lo bloccherà su una spiaggia per molto tempo, finché un giorno non gli tornerà la memoria e ritornerà dalla famiglia.

LA TELENOVELA ERRANTE              

(Id. Cile, 1990-2017, col., dur., 76′, v.o. sott.it.)

Regia: Raúl Ruiz, Valeria Sarmiento

Con: Luis Alarcón, Patricia Rivadeneira, Francisco Reyes, Liliana Garcia, Mauricio Pesutic, Carlos Matamala, Roberto Poblete, Francisco Moraga, Consuelo Castillo, Marcial Edwards, Roberto Chignoli, Maricarmen Arrigorriaga, Fernando Bordeu, Maria Erica Ramos

«Il film è imperniato sul concetto di telenovela e strutturato sul presupposto che la realtà cilena non esiste, ma è un collage di soap. Ci sono quattro province audiovisive e si teme la guerra fra fazioni. I problemi politici ed economici sono immersi in una gelatina di fiction e divisi in episodi seriali. L’intera realtà cilena è inquadrata dal punto di vista della telenovela, che fa da filtro rivelatore della realtà stessa». (Raúl Ruiz).

Presentato in Concorso al Locarno Film Festival nel 2017, La telenovela errante è anzitutto la storia di un film incompiuto. Le tappe del suo ritrovamento, come in un labirinto ruiziano, hanno inizio nel 2015 quando un ammiratore di Ruiz avvicina l’attrice e produttrice Chamila Rodriguez e le consegna il making of delle riprese girato allora in video HI 8. Allo stesso tempo la fotografa di scena dell’epoca consegna un plico con 300 foto prese sul set. Informata Valeria Sarmiento, cineasta montatrice e moglie di Rui, le ricerche vanno sempre più a fondo. Al negativo conservato nella Cineteca di Santiago del Cile, si aggiunge una copia-lavoro in 16mm recuperata nella biblioteca della Duke University negli Usa dove Raúl Ruiz aveva insegnato, fino alla sceneggiatura, ritrovata in un cassetto della loro casa parigina, dalla stessa Sarmiento.

A questo punto Valeria Sarmiento si occupa di rimettere insieme i pezzi del puzzle scandendo in sette capitoli i materiali girati da Ruiz nel 1990 in una settimana di riprese e aggiungendo delle sequenze in cui immagini dell’epoca passano sugli schermi delle televisioni, in modo da portare alla luce l’idea originaria di Ruiz che voleva – attraverso il gioco folle delle telenovelas (da cui provengono tutti gli attori del film) passate sotto una lente enigmatica e terribile – far emergere l’angoscia e l’ipocrisia di un paese martoriato appena uscito dalla dittatura. La telenovela, specchio sfuggente della realtà, finisce per rivelarne il volto segreto, il rincorrersi delle ombre diventa un dispositivo politico che chiede con forza di restituire verità a una nazione troppo a lungo straziata.

Il film è un vero e proprio sistema di scatole cinesi dove a emergere è l’inconscio di chi, per sopravvivere, ha scelto la via dell’erranza: cioè l’esilio. Giochi semantici, depistaggi, lapsus, scene che si generano una nell’altra, umorismo nero, l’identità esplosa del Cile compongono un oggetto unico, duro e ironico. Ruiz dieci anni dopo con il capolavoro Cofralandes, Rapsodia chilena (2001-2002), anche questo trasmesso negli anni scorsi da Fuori Orario, tornerà a occuparsi – con forse maggiore compiutezza poetica e filosofica – del cuore segreto della sua terra, ma è con La telenovela errante che compie il primo doloroso tentativo di ritorno a casa (un altro, più lontano nel tempo, risale al 1982, con la gemma Lettre d’un cineaste ancora una volta trasmessa nelle nostre notti su RaiTre)

L’ATALANTE

(Francia, 1934, b/n, dur., 85′, v. o. sott., it.)

Regia e sceneggiatura: Jean Vigo

Con: Dita Parlo, Jean Dasté, Michel Simonù

Nel febbraio 1934, Jean Vigo, malato, ha terminato il montaggio di L’Atalante, in uno scambio costante con la sua ‘banda’, vale a dire il suo gruppo di amici che, insieme al montatore Chavance, tiene al corrente il regista quando questi non è fisicamente presente. A quel punto Vigo lascia Parigi per riposarsi, mentre Maurice Jaubert, suo complice, compone la musica. Non troverà più la forza per riprendere il montaggio, come si augurava. Il suo collaboratore Albert Riéra, propone di condensare la narrazione, ma J.L. Nounez, il produttore, rifiuta che qualcuno si sostituisca al regista. Solo dopo una proiezione per gli esercenti dall’esito disastroso, Nounez accetta la proposta del coproduttore e distributore GFFA di sostituire la musica di Jaubert con una ‘canzone realistica’ adattata dall’italiano, Le Chaland qui passe. Titolo con il quale il film uscirà nel mese di settembre, poco prima della morte di Vigo. Nel frattempo, una copia dell’Atalante autentica è stata inviata a Londra, a quanto pare affidata da Maurice Jaubert ad Alberto Cavalcanti.

Ed è questa la copia-guida, immagine e suono, su cui è stato rigorosamente condotto il nuovo restauro. È stata reintegrata l’inquadratura aerea finale, girata da Kaufman su istruzioni di Vigo, già prevista in tutta la sua lunghezza nel commento musicale di Jaubert; e alcuni tagli (usura? censura? proiezionisti voyeur?) sono stati completati grazie ad alcune copie di Le Chaland qui passe, la cui pellicola fu mutilata solo a seguito dell’esclusiva del film al cinema Le Colisée, quando GFFA si appellò alle proteste di vari spettatori per raccomandare i tagli. L’ottica adottata è stata quella di affidarsi al film nella sua veste originaria, quella degli anni 1933-1934, senza tentare di adattarlo alle abitudini degli spettatori del XXI secolo. (Bernard Eisenschitz, dal catalogo di Cinema Ritrovato, Bologna, 2017)

L’Atalante contiene tutte le qualità di Zéro de conduite e altre ancora quali la maturità, la maestria. Vi si trovano, riconciliate, due grandi tendenze del cinema, il realismo e l’estetismo. Ci sono stati nella storia del cinema dei grandi realisti come Rossellini e dei grandi esteti come Ejzenštejn, ma pochi cineasti si sono provati a fondere le due tendenze quasi fossero contraddittorie.  (…)  Ritengo che spesso si sottovaluti L‘Atalante vedendovi un piccolo tema, un tema ‘particolare’ in opposizione al grande tema ‘generale’ trattato in Zéro de conduite. L’Atalante affronta in realtà un grande tema, raramente trattato dal cinema, l’esordio nella vita di una giovane coppia, le difficoltà di adattarsi l’uno all’altra, con all’inizio l’euforia dell’accoppiamento (ciò che Maupassant chiama “il brutale appetito fisico ben presto spento”), poi i primi scontri, la rivolta, la fuga, la riconciliazione, e finalmente l’accettazione dell’uno da parte dell’altra.”(François Truffaut, Les Films de ma vie, 1975)

“Spremuti e premuti da 35 anni di visioni e da pochi secondi di infinita e sfinita memoria, dieci film. Proiettati in un futuro anche solo di un attimo, come forse sempre dovremmo immaginarcelo, se ancora fossimo capaci di amare. L’Atalante di Vigo, allora, perché sublima proprio la lotta del cinema contro la morte dentro la morte, riinventando la sovrimpressione come atto d’amore tra immagini. E perché la lieta fine non è lieta e non è fine, la follia dell’amore coniugale vista dall’alto come solo il cinema o un dio…(enrico ghezzi, Cento film in dieci minuti, “Il Manifesto”, 21 giugno 1994)

 

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