La programmazione di Fuori Orario dal 3 al 9 dicembre

Il cinema antinaturalista tra Rocha, Godard, De Oliveira e Chaplin e gli scrittori prestati al cinema con Edith Bruck e Nelo Risi. Da stanotte.

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Domenica 3 dicembre dalle 2.45 alle 6.00

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Fuori Orario cose (mai) viste                                                                

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

presenta

IL CINEMA (ANTI-NATURALISTA) È IL CINEMA (1) 

a cura di Lorenzo Esposito e Roberto Turigliatto 

SE FOSSI UN LADRO…RUBEREI            

(Se eu fosse ladrão… roubava, Portogallo, 2013, b/n e col., dur., 84’, v.o. sottotitoli italiani)

Regia e produzione: Paulo Rocha

Sceneggiatura: Paulo Rocha, Régina Guimarães, João Viana

Fotografia: Acácio de Almeida

Con: Luís Miguel Cintra, Isabel Ruth

Presentato al Locarno Film Festival nel 2013

Negli ultimi anni della sua vita Paulo Rocha aveva immaginato una sorta di “ultimo film”, che portasse a compimento la sua opera. Basata sulle memorie della vita del padre che era emigrato in Brasile, ambientato agli inizi del secolo a Porto e nel Furadouro, era anche un modo di tornare sui luoghi della sua infanzia, dove aveva girato Mudar de vida: il   mondo contadino ancestrale, la vibrazione dei corpi nel paesaggio, il passaggio delle generazioni, il ciclo della nascita e della morte, la tensione escatologica verso un altro mondo.  Vi aveva riunito i suoi attori (da Isabel Ruth a Luís Miguel Cintra, e la più giovane Joana Barcia), insieme all’équipe degli ultimi film, da Rio do ouro a Vanitas, e la fotografia di Acácio de Almeida. Terminato poco prima della morte del suo autore il film è un vero miracolo, una grande riuscita artistica, molto più che una ricapitolazione di tutto il suo cinema: piuttosto una nuova metamorfosi cosmica della sua mitologia poetica. Jorge Silva Melo lo definisce “un immenso addio”, “un film estremamente commovente, doloroso, realizzato alla frontiera della morte, filmato in modo magistrale”.  Della sceneggiatura Rocha aveva girato solo una parte (con sequenze stupende, tra cui quelle con Isabel Ruth sulla stessa spiaggia di Mudar de vida che sembrano scaturire da un’esperienza spiritica). Ben presto nella sua mente si era fatta avanti l’idea di montare insieme al nuovo girato estratti dai suoi film precedenti secondo un’idea di rimontaggio operata sul corpo dei propri stessi film. Questo film magnifico ed unico riunisce due pulsioni fondamentali del regista: la poetica visionaria del narratore, con le sue  infinite storie popolate dai fantasmi e dalle memorie del luogo,  e il “collage” modernista, plastico e pitturale dell’ artista d’avanguardia(Roberto Turigliatto)

PASSION                                                

(Francia, Svizzera, 1982, col., dur., 88’, v. o. sott., it.,)

Regia: Jean-Luc Godard

Con: Isabelle Huppert, Hanna Schygulla, Jerzy Radziwilowicz, Michel Piccoli, Laszlo Szabo, Jean-François Stévenin

Un regista polacco gira in studio, in Svizzera, un film incentrato su “tableaux vivant” che riproducono opere famose della pittura occidentale.

“Se questo film è una “passione” – e in effetti lo è – è la passione del cinema stesso, dilaniato tra il puro e l’impuro, la geometria e il caos, la comunicazione e il rumore. Tutti i cineasti cominciano col ridurre questo scarto ancor prima di iniziare il film, proteggendosi dal rumore e dal caos.  Godard, che ama al tempo stesso il rumore e la musica, mette in evidenza proprio lo scarto, ne fa il punto di partenza (…)  Il cinema viene effettivamente salvato da Passion (…) E Godard sceglie la via più difficile, ricordarci da dove viene realmente il cinema (il rumore cacofonico del mondo, la singolarità irriducibile delle cose, le variazioni della luce) e tendere malgrado tutto verso ciò cui il cinema non potrà mai pretendere se non per illuminazioni, la bellezza assoluta. La grande forza estetica di Godard consiste nel sapere che non c’è vera bellezza se non nella scintilla che si crea tra questi due poli”. (Alain Bergala, Cahiers du Cinéma, luglio-agosto, 1982)

 

Venerdì 8 dicembre dalle 1.40 alle 6.00

EDITH BRUCK/NELO RISI. SCRITTORI PRESTATI AL CINEMA (E ALLA TV) (1)

a cura di Fulvio Baglivi

DALLA PARTE DEGLI ULTIMI – UNA CONVERSAZIONE CON EDITH BRUCK

(Id., Ita, 2023, col., dur., 25’)

A cura di: Fulvio Baglivi

Con: Edith Bruck

Una conversazione registrata in più incontri con la scrittrice di origini ebraiche nata in Ungheria, vittima della barbarie della Shoah, che in Italia ha trovato casa, l’uomo con cui ha condiviso la vita, il poeta e regista Nelo Risi, e soprattutto ha lavorato. Principalmente Edith Bruck è stata una scrittrice e collaboratrice di riviste e quotidiani ma ha collaborato con Rai dagli anni ’60 fino agli inizi dei ’90, è stata autrice di programmi nonché regista di reportage che hanno per protagonisti gli ultimi, ovvero le persone che questa società non vede o non riconosce. Accanto a questi lavori troviamo anche film per il cinema e per la tv.

IMPROVVISO – 1° e 2° PARTE                                               

(Id., Ita, 1978, col., dur., 96’ circa)

Regia: Edith Bruck

Con: Giacomo Rosselli, Andréa Ferréol, Valeria Moriconi, Biagio Pelligra

Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia del 1979 (prima edizione diretta da Carlo Lizzani) nella sezione Officina veneziana, curata da Enzo Ungari, Improvviso segna l’esordio alla regia di Edith Bruck.

Sceneggiato a partire da un fatto di cronaca, il film racconta la storia di un adolescente di provincia che vive senza padre, ha difficoltà nelle relazioni con i coetanei e solo lo studio del violoncello rappresenta per lui una via di fuga dal mondo che lo circonda. Durante un viaggio in treno prova ad approcciare una donna adulta ma la reazione di lei lo porterà ad un improvviso gesto inconsulto…

UN ALTARE PER LA MADRE                                              

(Id., Italia-Germania, 1987, col., dur., 91′)

Regia: Edith Bruck

Con: Franco Nero, Angela Winkler, Francesco Capitano

Girato per la televisione, Un altare per la madre è tratto dall’omonimo romanzo di Ferdinando Camon, vincitore del Premio Strega nel 1978, con lo scrittore che partecipa alla sceneggiatura. La storia è ambientata durante la guerra, un uomo dopo il funerale della madre ritrova vecchi oggetti che lo riportano alla vecchia cultura contadina in cui la donna aveva vissuto. Partendo da un oggetto inizia la costruzione di un altare dedicato alla madre ma anche a una cultura che la società dei consumi ha cancellato.

 

Sabato 9 dicembre dalle 1.50 alle 7.00

IL CINEMA (ANTI-NATURALISTA) È IL CINEMA (2) 

a cura di Lorenzo Esposito e Roberto Turigliatto

LA DONNA DI PARIGI                         

(A Woman of Paris, 1923 Usa, 85’, v.o. cartelli in italiano)

Regia: Charlie Chaplin

Con: Edna Purviance, Clarence Geldart, Carl Miller, Lydia Knott, Charles French, Adolphe Menjou

Versione restaurata in collaborazione con la Cineteca di Bologna

Pietra miliare del cinema muto, è il film con cui Chaplin diventa – fra le altre cose – il capostipite dell’anti-naturalismo cinematografico. In un’intervista in cui gli si chiedeva se in alcuni casi non fosse più conveniente muovere la caméra, Yasujiro Ozu rispose: “Ma io la muovo, voglio solo che non si noti, e se usi le dissolvenze è ancora peggio. Potrebbe essere più conveniente ma sarebbe artificiale, non autentico. L’unico ad aver usato la dissolvenza con successo è stato Charlie Chaplin in A Woman of Paris. Non si vedrà più un uso così perfetto di questa tecnica se non fra molti anni. Gli altri mentono tutti”. Chaplin inoltre rompe del tutto con certa enfasi mimica tipica del cinema muto, chiedendo agli attori una recitazione ‘realista’, misurata, essenziale.

Il film è il primo girato con produzione anti-hollywoodiana United Artists, la casa fondata da Chaplin per rendersi indipendente insieme a Douglas Fairbanks, David W. Griffith e Mary Pickford.

“Marie, ragazza di campagna, va a Parigi e diventa l’amante del ricco Pierre. Ritrova il suo primo amore, ma il ragazzo è succube della madre. Il primo film di Chaplin senza Charlot (lo sconcerto del pubblico fu tale che i cinema furono costretti ad affiggere un cartello di avvertimento alle casse) è un dramma sociale ambizioso e asciutto con al centro una splendida figura femminile. Immaginato per Edna Purviance, prende spunto dall’affaire di Peggy Hopkins Joyce – ballerina delle Ziegfeld Follies e nota cacciatrice di dote – con il ricco editore parigino Henri Letellier, a causa del quale un ragazzo di lei innamorato si tolse la vita. Ma il film è tutt’altro che un morality play, scava dentro e oltre quelle stesse convenzioni e quel perbenismo borghese che Chaplin aveva già preso di mira con le sue commedie. Elogiato dalla critica per la sofisticata analisi psicologica “degna di Ibsen o Maupassant” e per lo “scetticismo cartesiano” che elevava il suo autore al rango di “filosofo della natura umana”, rimane, dopo cento anni dalla sua uscita, un Chaplin da riscoprire”. (Cecilia Cenciarelli, catalogo Cineteca di Bologna)

FRANCISCA                                          

(Id., Portogallo, 1981, 163′, col., v. o. sott., it.)

Regia: Manoel de Oliveira

Con: Teresa Meneses, Diogo Dória,  Mário Barroso

Film restaurato dalla Cinemateca Portuguesa – Museu do Cinema nel 2019.

Dal libro Fanny Owen di Agustina Bessa-Luís, a sua volta ispirato a fatti reali del XIX secolo, il film conclude la «tetralogia degli amori frustrati». A metà del XIX secolo, lo scrittore Camilo Castelo Branco  e il suo amico José Augusto si innamorano delle due sorelle Owen, Marie e Fanny. Benché innamorato di Marie, José Augusto fugge con Fanny, ma trova in alcune lettere procurategli da Camilo un pretesto per non consumare il matrimonio… con l’idea  delirante di “creare un angelo nella pienezza del martirio”.  Alcuni anni dopo Fanny muore di malattia, lasciando il marito con l’incertezza  sulla sua verginità. Qualche tempo dopo, José Augusto viene trovato morto in un albergo di Lisbona.

 “La possibilità di realizzare Francisca arrivò inaspettatamente. Avevo preparato (ed ero pronto a cominciare) un altro film, una commedia, quando un disaccordo dell’ultimo minuto con l’autore della storia mi spinse a ritirarmi. Mi venne quindi in mente di fare Francisca (da Fanny Owen) perché ero già interessato alla vera storia, collegata alla famiglia di mia moglie. La conoscevo da tempo perché me ne avevano parlato e avevo letto alcune lettere di Fanny che ancora oggi sono in possesso di mio cognato Abel. Camilo Castelo Branco, il famoso romanziere che avrebbe scritto il noto Amor de Perdição, era amico di José Augusto e Fanny, e insieme a loro ebbe parte in questo triste fatto del 1850. Camilo evoca l’infelice storia di amore di Fanny e José Augusto nel libro No Bom Jesus do Monte. Forse lo fece, in un certo modo, per scrollarsi di dosso l’accusa di complicità nella natura indecorosa attribuita a questa storia romanticissima. Recentemente, la grande scrittrice Agustina Bessa-Luís ha fatto rivivere la storia in Fanny Owen, basando il libro su fatti veri e sugli scritti di Camilo. Fu l’opera di Agustina a spingermi a fare Francisca e sul suo libro ho costruito il film. Così, Francisca completa la tetralogia degli altri miei film sull’amore frustrato e cioè O passado e o presenteBenilde ou a Virgem Mãe e Amor de Perdição”. (Manoel de Oliveira)

“Gli abissi, le anime, i pensieri non si possono filmare, si suggeriscono. Si filma solo ciò che si può fotografare ed è per questo che a me non piace uscire dal concreto”. (Manoel de Oliveira, Catalogo della Cinemateca Portuguesa, Manoel de Oliveira, 1981)

“D’altra parte è proprio questo che in generale amo nel cinema: una saturazione di segni magnifici che si bagnano nella luce della loro stessa assenza di spiegazione.  È per questo che credo nel cinema”. (Conversazione tra Manoel de Oliveira e Jean-Luc Godard, Libération, 1983)

La tortuosa relazione tra Agustina Bessa-Luís e Manoel de Oliveira ebbe inizio nel 1981, quando il cineasta adattò il romanzo Fanny Owen(1979). Francisca è l’ultima eroina della tetralogia degli amori frustati, è un film di specchi e riflessi, una delle opere massime di Oliveira.

“Oliveira parte dal romanzo di Agustina Bessa-Luís, che a sua volta si ispira a un episodio camiliano realmente accaduto durante la metà del XIX secolo nell’ambiente intellettuale bohémien di Porto, frequentato dal noto romanziere Camilo Castelo Branco e dallo scrittore José Augusto.  Di fatto Fanny o Francisca è tanto un personaggio reale (è realmente esistito) quanto un personaggio di Camilo, visto che quasi tutto ciò che sappiamo di lei lo sappiamo attraverso Camilo e che tra i due c’è stato un rapporto complesso e ambiguo. È stata sposata con uno scrittore – José Augusto – compagno, amico e rivale di Camilo che ha contribuito in modo decisivo sia al loro matrimonio sia al tragico scioglimento di questo, intessendo intorno a essi un diabolico intrigo. […] In Francisca è tutto ancora più abissale [che in Amor di perdição)] In questo altro film camiliano l’«oscuro abisso» è ancora più completo. Perché non veniamo mai a sapere  – come non si è mai saputo «storia reale» – perché José Augusto, dopo aver rapito Francisca ed essersi sposato con lei, non abbia consumato il matrimonio. Si sa che c’è stata una rivelazione terribile (intrigo? Fatto reale?) che l’ha portato a sospettare della verginità della moglie e a rifiutarne per sempre il corpo. Sul letto di morte, Francisca – la stessa Francisca che all’inizio aveva detto che l’anima è un vizio – (e, come in Amor de Perdição, Oliveira ripete la sequenza e il dialogo) lancia il terribile grido: «C’è un uomo che mi possa amare?». (João Bénard da Costa, Manoel de Oliveira,Torino Film Festival, 2000)

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