LIBRI DI CINEMA – "Robert Zemeckis", AA.VV. – a cura di Gianni Canova

Robert Zemeckis - a cura di Gianni CanovaCinque saggi su cinque film di Zemeckis analizzati attraverso la figura della trasformazione: una coabitazione tra opposti – analogico e digitale, visibile e invisibile, variabilità del tempo e invarianza dello spazio e delle sue contingenze – che va oltre la mera sinestesia per farsi cinema meticcio, acquatico e postmoderno, in cui, abbandonata ogni illusione di purismo, i sensi si sovrappongono e si confondono; il cinema di un autore-non autore il cui tratto distintivo è una ricerca che si interroga prima di tutto sul senso stesso del produrre visioni, e sulla possibilità negata di oltrepassarsi. Per Marsilio.

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Robert Zemeckis - a cura di Gianni CanovaROBERT ZEMECKIS

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Autori vari – Marco Toscano, Vincenzo Buccheri, Riccardo Caccia, Roy Menarini, Luisella Farinotti, Ivan Moliterni (a cura di Gianni Canova)

Edizioni Marsilio

Finito di stampare nel mese di gennaio 2008

Pag. 144 – 9,90 euro

 

 

Nell’introduzione Gianni Canova spiega come e quanto il cinema di Zemeckis si riveli refrattario all’inserimento forzato in una categoria (quella dell’auteur, così come quella del regista originale ed autoritario – Lynch, Cronenberg – ma altrettanto, quella della spettacolarità hollywoodiana di un De Bont o di un Cameron, o quella del marchio di fabbrica di affabulatore riconosciuto, in cui può rientrare Spielberg) – nel contempo affermando le ragioni per cui la stessa nozione di autore non sia utilizzabile con troppa disinvoltura: se i film di Zemeckis vengono osservati dalla critica con una certa diffidenza, dovuta al successo commerciale di alcuni di essi (come Forrest Gump), Canova trova invece, più in profondità, le ragioni di questa sostanzialeForrest Gump incollocabilità del suo cinema in quella che ne è la cifra più personale: restare all’interno, ma non al servizio, dell’industria cinematografica, proponendo nel contempo, per via  «tecnologica, e non ideologica o estetica» l’idea di una incessante trasformazione che preferisce la fusione alla semplice convivenza: una coabitazione tra opposti – analogico e digitale, visibile e invisibile – che va oltre la mera sinestesia per farsi cinema meticcio, postumano, acquatico e postmoderno, in cui, abbandonata ogni illusione di purismo, i sensi si sovrappongono e si confondono, e il cui tratto distintivo è una ricerca che si interroga prima di tutto sul senso stesso del produrre visioni, e sulla possibilità negata di oltrepassarsi: ne sono esempi non solo La morte ti fa bella (i personaggi subiscono mutazioni da cartoon), Who Framed Roger Rabbit (1988) (l’ibridazione di corpi di attori e di animazioni) o Polar Express (l’uso della performance capture, come anche nell’ultimo Beowulf), ma soprattutto Contact, viaggio siderale nel mondo dell’infanzia in cui si sente prima ancoradi vedere, il cui tema sembra essere lo stesso “non poter Who framed Roger Rabbitandare oltre le immagini”, mettendo in scena «il nostro bisogno di altrove, ma anche l’impossibilità di visualizzare questa necessità per l’inadeguatezza della strumentazione (tecnologica, ma anche emotiva, percettiva, epistemologica) di cui disponiamo». (p. 13). A sovrapporsi sono anche spazio e tempo, in variabili ora esistenziali, ora cognitive, ora emotive, laddove il tempo slitta avanti o indietro in una sostanziale invariabilità dello spazio e delle contingenze (Ritorno al futuro). Altre costanti sono la presenza di un passato che ritorna sotto forma fantasmatica (il rimosso ne Le verità nascoste – ma anche lo stesso Chuck di Cast Away, tornato alla civiltà, è uno spaesato fantasma, che a differenza del Robinson Crusoe, perfetto prototipo di colonizzatore che riproduce il mondo organizzato nella natura selvaggia, produce non una riorganizzazione concreta della vita conosciuta, ma solo e incessantemente immagini, e riempie l’isola di «icone affettive e non di artefatti funzionali» (p. 20), risemantizzando gli oggetti (il pallone, che diventa il feticcio Wilson); ecco come Cast Away viene visto da Canova come un film sulla nostalgia di un mondo capace di Ritorno al futurofarsi esso stesso cinema e popolare il nostro orizzonte di visioni, miraggi e fantasmi, rendendo possibile dunque la categoria di autore per Zemeckis soltanto se per autore intendiamo un regista impegnato a ridefinire la stessa nozione di visibile.

Nei cinque saggi dedicati a cinque film, Marco Toscano analizza Who Framed Roger Rabbit e i motivi per cui scatenò reazioni contrastanti all’epoca della sua uscita in sala (per un critico dei Cahiers rappresentava un estremo di anticinema, una sorta di incubo in cui il corpo umano deve deformarsi come un cartone animato, per sopravvivere) e individuando proprio in questa messa in discussione dell’antropocentrismo, e nell’infrazione alla regola del mondo spensierato dei cartoni, in cui i personaggi non sono di solito consapevoli del loro “ruolo” di figure animate, l’originalità dell’operazione; Vincenzo Buccheri si occupa della trilogia di Ritorno al Futuro (1985), che fonde nostalgia del sogno americano, gioco con i prodotti del mercato e dell’immaginario pop, ipertestualità e citazionismo, preferendo ad un approccio freudiano una rilettura in chiave lacaniana, seguendo Slavoj Žižek, e perfino Cast Awaypolitica; Riccardo Caccia mette in luce l’intreccio tra storia individuale e Storia in Forrest Gump (1994), e ancora, la simultaneità tra reale e immaginario (il personaggio di finzione interpretato da Tom Hanks viene immerso in uno scenario storico, abitato da personaggi realmente esistiti, che però interagiscono sulla scena grazie all’artificio degli effetti speciali); Roy Menarini colloca Cast Away (2000) in uno scenario in cui si impone all’immaginario la simulazione dell’esperienza (le serie tv come Lost, i reality come Survivor) spiegando come una certa inverosimilità delle vicende del naufrago sia voluta, e funzionale alla forte componente simbolica che non solo contrappone dialetticamente feticci contemporanei e primitivi (Chuck utilizza non a caso proprio la marca del pallone per fornirgli un nome e un’identità) ma che inoltre renderà Chuck un revenant a disagio nell’opulenza produttiva in cui era perfettamente inserito, e chiarendo come in Zemeckis (negli anni ‘60 attivista impegnato) si affacci, più che l’utopia, la figura ambigua dell’atopia, attraverso uno sguardo sulla società più sottile e assai meno “commerciale” di quanto non si creda. Infine, a Luisella Farinotti è affidata l’analisi de Le verità nascoste (2000), saggio meno convincente Le verità nascostedegli altri quattro, che chiude il discorso sulla fluidità anche semantica del cinema di Zemeckis, Qui si riflette sulle immersioni, sull’atto di guardarsi attraverso uno specchio, del varcare la soglia da parte di una coppia (che sia la porta di casa, quella speculare della coppia di vicini, quella dell’inconscio personale), un ordine del discorso la cui originalità peculiare è l’assenza della dimensione onirica, alla quale si preferisce un mondo ancora indefinibile, in cui rimosso e presenze familiari finiscono per coincidere.

Benché di dimensioni contenute, il testo presenta una serie di note ben curate, un’esaustiva bibliografia, oltre a biografia e filmografia del regista (a cura di Ivan Moliterni).

 

 

INDICE

 

Il cinema di Robert Zemeckis.

Per un’immagine ibrida e meticcia       

di Gianni Canova        p. 7

 

Chi ha incastrato Roger Rabbit

Di Marco Toscano        p. 21

 

Ritorno al futuro

di Vincenzo Buccheri         p. 37

 

Forrest Gump

di Riccardo Caccia         p. 81

 

Cast Away

di Roy Menarini         p. 121

 

Le verità nascoste   

di Luisella Farinotti         p. 97   

 

Note al testo         p. 111

 

Biografia

a cura di Ivan Moliterni          p. 123

 

Filmografia

A cura di Ivan Moliterni         p. 127

 

Bibliografia         p. 137

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