L'UOMO NEL MIRINO – Incontro con Michele Placido, Luca Argentero, Violante Placido per “Il cecchino”
"Abbiamo lavorato ad una strategia stilistica volta a sottolineare formalmente le situazioni di isolamento, esistenziale ed affettivo, vissute dai personaggi, come tanti Samurai, ovviamente secondo la grande tradizione melvilliana". In una nuova versione leggermente rimontata arriva in sala Il cecchino, in sala dal 1° maggio
“Il mio director's cut è ancora più violento di queste due versioni, ma non me l'hanno fatto uscire in sala!” Michele Placido presenta una nuova edizione de Il cecchino, il suo potentissimo exploit francese, leggermente rimontato in confronto a quanto vedemmo all'ultimo Festival di Roma. Con lui la compagine italiana del cast, Luca Argentero e la figlia Violante.
Il film mette in scena dei conflitti molto netti tra dei “tipi” riconoscibili del genere noir non solo francese. Questa scelta è evidente anche a livello formale: i personaggi sono spesso fattivamente divisi da “barriere” dello sguardo, grate, vetri, il mirino del fucile. E d'altra parte la fotografia è altrettanto “tagliente” con i suoi fasci di luce nel buio, mentre gli attori devono riuscire a caratterizzare il proprio ruolo in velocità, attraverso brevi tratti giusto schizzati tra le sequenze…
Michele Placido: Sono stati gli sceneggiatori di questo film a proporre alla produzione e agli attori il mio nome per la regia dopo aver saputo che avevo lavorato su Renato Vallanzasca. Auteil e Kassovitz si sono detti entusiasti e io ho accettato. A quel punto il mio ruolo è stato di puro esecutore dello script, ma con Arnaldo Catinari alla fotografia abbiamo proprio lavorato ad una strategia stilistica volta a sottolineare formalmente le situazioni di isolamento, esistenziale ed affettivo, vissute dai personaggi, già raccontati dal copione come tanti Samurai, ovviamente secondo la grande tradizione melvilliana.
Violante Placido: Creare questi personaggi senza che lo script ti raccontasse il loro percorso, il loro background, è stata la sfida più difficile del lavoro sul set. Anche perché alcuni elementi in più, come ad esempio una scena molto tenera tra me e Luca, alla fine sono anche stati tagliati nel montaggio definitivo.
Luca Argentero: La prima stesura del copione era ambiziosissima e molto lunga, piena di cose che poi son state sacrificate per mantenere alta la tensione del montaggio. Tra cui il mio ultimo respiro, che per fortuna avviene fuoricampo: per me si tratta della prima volta che muoio sullo schermo!
Il cinema di Placido si conferma qui come pazzescamente fisico, viscerale, legato alla performance di attori braccati dal nervosismo della mdp e da primi piani strettissimi. Come hanno reagito Kassovitz e Auteuil al “metodo-Placido”?
Luca Argentero: Hai detto bene, lavorare su di un set di Michele per un attore è sentirsi come presi per il bavero della giacca e scossi con violenza. E' un'esperienza sempre destabilizzante. Poi lui da attore prima che da regista ti mostra sempre come vuole che venga recitata la scena: si mette in campo e la interpreta, per fartelo vedere.
Michele Placido: Lo fa anche Clint Eastwood con i suoi attori! A differenza di noi italiani, i francesi sono abituati a lavorare di sottrazione, a togliere sempre dai loro personaggi. Kassovitz ad esempio aveva assunto proprio il respiro e il portamento dei cecchini militari superaddestrati sui quali aveva studiato il suo personaggio. Auteuil è un attore a cui mi sento invece più vicino, più umano. E poi si tratta di due altri attori-registi, con i quali confrontarsi anche sulle scelte di regia e drammaturgia. Con Mathieu ho avuto qualche scontro, perché è un tipo piuttosto inquieto che buttava sempre un occhio su come stessi girando il film.
Violante Placido: Kassovitz è un attore animalesco ma senza paura, la scena molto drammatica che giriamo insieme per me è stata un modello di collaborazione tra attori attraverso la disponibilità e la fiducia reciproca più totali.
Già dalla prima sequenza, quella della lunga sparatoria fuori dalla Banca, Kaminski appare come l'ennesimo fantasma letale e inafferrabile della cinematografia criminale di Placido (si veda poi la fenomenale ellisse della sua evasione…), nuovo “angelo del Male” di un cinema sempre prepotentemente politico…
Michele Placido: Quella scena d'apertura ha richiesto tre giorni di riprese, ad un certo punto stavamo girando con sette macchine digitali d'ultima generazione. Abbiamo realizzato degli storyboard che poi mi sono subito reso conto di non poter seguire, e dunque Catinari ha girato dei lunghi pianosequenza da ogni angolazione che poi abbiamo montato insieme. Una sequenza del genere è impossibile da riuscire a girare in Italia. Il mio cinema è sempre stato una metafora sociale quasi da tragedia greca, e il senso è che non è mai facile riuscire a capire cosa stia succedendo, la realtà è sempre incredibile, insospettabile e imprevedibile. Basta aprire i giornali di questi giorni per accorgersene.