“Noi difendiamo una libertà di importunare.” Le 100 donne con Catherine Deneuve
Un collettivo di 100 donne, tra cui Catherine Millet, Ingrid Caven e Catherine Deneuve, rivendica la propria distanza da un certo femminismo che esprime un odio per gli uomini. L’articolo integrale
In un dibattito su Le monde, un collettivo di 100 donne, tra cui Catherine Millet, Ingrid Caven e Catherine Deneuve, rivendica la propria distanza da un certo femminismo che esprime un « odio per gli uomini ». La traduzione è a cura di Fabiana Proietti
Lo stupro è un crimine. Ma il provarci, insistente o maldestro, non è un delitto, né la galanteria un’aggressione maschilista.
In seguito al caso Weinstein ha avuto luogo una legittima presa di coscienza delle violenze sessuali esercitate sulle donne, specialmente in ambito professionale, in cui certi uomini abusano del loro potere.
E questa presa di coscienza era necessaria. Ma tale liberazione della parola si rivolta oggi nel suo opposto: ci viene intimato di parlare come si deve, di tacere ciò che infastidisce, e quelle che rifiutano di piegarsi a queste ingiunzioni vengono guardate come delle traditrici, delle complici.
Ora, è proprio la caratteristica del puritanesimo quella di prendere in prestito, in nome di un supposto bene generale, gli argomenti della protezione delle donne e della loro emancipazione per meglio incatenarle a uno statuto di eterne vittime, di povere piccole cose sotto l’influenza di demoni fallocrati, come ai bei vecchi tempi della stregoneria.
Delazioni e accuse
Di fatto, il #metoo ha dato avvio sulla stampa e sui social network a una campagna di delazioni e di accuse pubbliche verso individui che, senza che gli venga lasciata la possibilità di rispondere o difendersi, sono stati messi esattamente sullo stesso piano degli aggressori sessuali.
Questa giustizia sbrigativa ha già le sue vittime, uomini puniti nell’esercizio del loro mestiere, costretti alle dimissioni ecc. quando hanno avuto il solo torto di aver toccato un ginocchio, tentato di rubare un bacio, parlato di cose “intime” durante una cena di lavoro o di aver inviato messaggi dalla connotazione sessuale a una donna che non ricambiava la loro attrazione.
Questa febbre di spedire “i porci al mattatoio”, anziché aiutare le donne a rendersi autonome, serve in realtà gli interessi dei nemici della libertà sessuale, degli estremisti religiosi, dei peggiori reazionari e di quelli che credono, in nome di una concezione sostanzialmente legata a una moralità vittoriana, che le donne sono degli esseri “a parte”, dei bambini dal viso adulto, che reclamano di essere protetti.
Di fronte a questo, agli uomini viene intimato di battersi il petto e di scovare, in fondo alla loro coscienza retrospettiva, “un comportamento scorretto” che avrebbero potuto avere dieci, venti o trent’anni prima, e di cui dovrebbero pentirsi. La confessione pubblica, l’intromissione degli accusatori nella sfera privata diffonde una clima da società totalitaria.
L’onda purificatrice non sembra conoscere alcun limite. Qui si censura un nudo di Egon Schiele su un manifesto; là si chiede di ritirare un quadro di Balthus da un museo perché sarebbe un’apologia della pedofilia; nella confusione tra l’uomo e l’opera, si chiede di proibire la retrospettiva su Roman Polanski alla Cinémathèque e si ottiene il rinvio di quella su Jean-Claude Brisseau.
Una docente universitaria giudica il film Blow Up di Michelangelo Antonioni “misogino” e “inaccettabile”. Alla luce di questo revisionismo, neanche John Ford (Sentieri Selvaggi) o lo stesso Nicolas Poussin (Il ratto delle sabine) si salvano più.
Continua lo scritto:
Gli editori già chiedono ad alcune di noi di rendere i nostri personaggi maschili meno “sessisti”, di parlare di sessualità e d’amore in modo più misurato, o ancora, di fare in modo che “il trauma subito dai personaggi femminili” sia reso più evidente! Al limite del ridicolo, un progetto di legge in Svezia vuole imporre un consenso esplicitamente notificato a ogni persona coinvolta in un rapporto sessuale.
Ancora uno sforzo e due adulti che avranno voglia di andare a letto insieme dovranno prima di tutto spuntare, attraverso un’applicazione del loro smartphone, un documento in cui tutte le pratiche che accettano e quelle che rifiutano saranno accuratamente elencate.
Il filosofo Ruwen Ogien difendeva una libertà di offendere indispensabile alla creazione artistica. Allo stesso modo, noi difendiamo una libertà di importunare, indispensabile alla libertà sessuale.
Siamo oggi sufficientemente competenti per ammettere che la pulsione sessuale è per natura offensiva e selvaggia, ma siamo anche sufficientemente perspicaci da non confondere una avance maldestra con un’aggressione sessuale.
Soprattutto, siamo coscienti che l’essere umano non è un monolite: una donna può, nella stessa giornata, essere a capo di un’équipe professionale e godere dell’essere l’oggetto sessuale di un uomo, senza essere per questo né una “puttana” né una vile complice del patriarcato. Lei può vigilare sul fatto che il suo salario sia pari a quello dell’uomo, ma non può sentirsi traumatizzata a vita per un palpeggiamento in metro, anche se è considerato un reato. Può anche considerarlo come l’espressione di una grande miseria sessuale, guardarvi come a un non-evento.
In quanto donne, noi non ci riconosciamo in questo femminismo che, al di là della denuncia di abuso di potere, assume le forme di un odio per gli uomini e la sessualità. Pensiamo che la libertà di dire no a un’offerta sessuale venga meno senza la libertà di importunare.
E consideriamo che bisogna sapere rispondere a questa libertà di importunare, altrimenti saremo sempre ingabbiate nel ruolo di preda.
Per quelle tra noi che hanno scelto di avere dei figli, crediamo che sia molto più giudizioso allevare le nostre figlie in modo che siano sufficientemente informate e consapevoli per poter vivere pienamente le loro vite senza lasciarsi né intimidire né colpevolizzare.
Gli incidenti che possono toccare il corpo di una donna non intaccano necessariamente la sua dignità e non devono, per duri che siano talvolta, necessariamente fare di lei una vittima perenne.
Perché noi non siamo riducibili al nostro corpo. La nostra libertà interiore è inviolabile. E questa libertà che custodiamo non esiste senza rischi e responsabilità.