Occhiali Neri. Intervista allo sceneggiatore Franco Ferrini

Uno stralcio della nostra intervista esclusiva, inserita nella versione aggiornata e estesa di “Dario Argento – L’amore e l’orrore”, il volume a cura di Giacomo Calzoni di imminente ri-pubblicazione

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

Pubblichiamo una breve anticipazione dell’intervista a Franco Ferrini la cui versione integrale è uno dei contenuti esclusivi dell’imminente versione aggiornata e ampliata di Dario Argento – L’amore e l’orrore, il volume di Sentieri Selvaggi a cura di Giacomo Calzoni di prossima pubblicazione in una nuova forma

Parlare con Franco Ferrini significa essere pronti a passare dall’EUR a Mark Twain nel tempo di un paio di battute. Proprio come accade al protagonista di Un americano alla corte di Re Artù, che si ritrova a Camelot dritto dal Connecticut dell’800. “Già in quel libro Twain utilizzava l’eclissi di sole come espediente del protagonista per incutere timore sui cavalieri dell’epoca di Lancillotto, convinti in quei tempi che l’eclissi fosse presagio della fine del mondo”, ci racconta lo sceneggiatore parlando dell’incipit di Occhiali Neri, l’ultimo film di Dario Argento in sala da ieri, per il quale i due sono tornati a scrivere a quattro mani, una collaborazione che va avanti dagli anni ’80. “L’eclissi è stata una mia idea, che nasce dal mio amore per un film con Bette Davis che diventa cieca, che si chiama Tramonto. E lì nel titolo c’era già un presagio, senza voler svelare troppo. E allora ho pensato ad una eclissi sull’EUR, quasi a voler ribaltare Tenebre di Dario, che era ambientato nello stesso quartiere ma tutto alla luce del sole. Quella sequenza iniziale è un ritorno all’Argento ‘metafisico’ dei primi film, che era un cinema dichiaratamente non realistico e ‘alto’, elegante, artistico. Le sue grandi piazze deserte ricordano veramente De Chirico”.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

La lunga fuga finale in questa notte infinita nei boschi, in cui la protagonista affronta il buio e una natura che si fa quasi arcaica (i serpenti d’acqua, l’antro del custode), aiutata da figure come il cane o i cacciatori, forse recupera proprio quelle derive “fantastiche” delle fiabe nere dell’Argento “classico”…

Ad un certo momento Dario aveva abbandonato questa strada, più o meno in corrispondenza con le trasferte americane di Due Occhi Diabolici e Trauma, che abbiamo scritto insieme: girando a Minneapolis il cinema di Argento sembra perdere i riferimenti artistici, e perciò si immerge nel reale, una volontà che scientemente o meno ha continuato in altri film che ho fatto con lui come Nonhosonno, Il CartaioOcchiali Neri recupera invece la maniera metafisica del primo Argento nell’incipit, con le musiche molto belle di Arnaud Rebotini, ma poi sfocia in un realismo quotidiano quasi “terra terra”, la casa di lei affaccia sull’Aventino, il “quartiere dei ferrovieri” come lo chiama Enrico Vanzina in un suo libro. Poi però si riaccende di una certa visionarietà appunto nel finale, dove il buio, il bosco e la natura diventano un’idea pura, un’entità da pensare con l’iniziale maiuscola, il Bosco, il Buio, la Natura. Ad un certo punto abbiamo capito che il film era un unico grande inseguimento, un gioco del gatto col topo suddiviso in vari attacchi. Anche Phenomena è una favola nera, sicuramente più sbilanciata sul lato del fantastico, però anche lì ci sono i boschi, l’acqua, gli assalti degli animali. All’epoca Dario disse che si ispirava ai dipinti di Caspar David Friedrich, artista tedesco che ritrae la natura e la figura umana in una concezione prettamente romantica.

Non è solo Diana ad essere colpita nella vista, ma la negazione dello sguardo è centrale anche ad esempio negli appuntamenti sessuali della protagonista, con delle soggettive ardite come quella del cliente che si eccita a vederla con gli occhiali da sole, o quella “accecata” dell’uomo violento a cui la donna spruzza appunto lo spray negli occhi…

Come dice Brian De Palma, “nella commedia è importante quello che il protagonista dice, nel thriller è importante quello che vede”. Quando insieme al mio amico Enzo Ungari vedemmo Arabesque, Ungari lo definì “la tortura dell’occhio”, dato che gli occhi del protagonista vengono nel film di Donen continuamente sottoposti a violazioni e tribolazioni. Una definizione perfetta per il lavoro fatto insieme a Dario, la tortura dell’occhio. Occhiali Neri non segue l’indagine o la detection per scovare l’assassino, funziona come un film muto, tu potresti togliere ogni dialogo e lo spettatore deve poter capire ugualmente.

Franco Ferrini


Più che sulla tortura, Occhiali Neri pone però l’accento su di una certa malinconia, fino a quel finale amaro all’aeroporto…

Il finale per cui abbiamo optato si riallaccia a quello di Opera, che scrivemmo insieme, perché dopo la resa dei conti definitiva vicino alla cascata, in quel film sentiamo la voce off della protagonista che, accarezzando dei fiorellini e degli steli d’erba, dice “io non sono così”, ribadendo la sua estraneità alla perversione che caratterizzava la madre. Come teorizza John Truby, il giallo risponde a due domande: la prima è chi è il colpevole, la seconda è chi sono io.

Abbiamo letto che Asia Argento è produttore esecutivo di Occhiali Neri, e ci sembrava quasi una metafora del suo ruolo nella vicenda del film, quella della riabilitatrice che si occupa di rimettere in piedi Diana e di sorreggerla, un po’ come fatto da Asia con il padre, da sostenere in questa avventura dopo dieci anni dal film precedente…

Su questo posso dirti solo che film è stato scritto 20 anni fa, come si sa, e probabilmente all’epoca Asia avrebbe interpretato la protagonista. Prima di Ilenia Pastorelli, ad un certo punto in questi anni per il ruolo di Diana era stata contattata anche Stacy Martin, l’attrice di Nymphomaniac di Von Trier.
Poi sai, Phenomena, il primo film che abbiamo scritto io e Dario, è stato girato in 14 settimane, oggi un sogno impensabile. Con un grandissimo dispiego di mezzi, tra cui un crane enorme che Sergio Leone chiamava Chapman Boom, un macchinario che Argento aveva trovato a Monaco di Baviera e ha utilizzato per l’inquadratura dall’alto all’inizio del film, una cosa di cui va molto fiero perché quell’attrezzatura non si usava da tempo. Oggi le opportunità per questo cinema sono cambiate, Occhiali Neri è stato girato in molto meno tempo, con le interruzioni del set proprie dell’epoca Covid. Ma non è una novità neanche girare più “in economia”, per noi, come già accaduto per le sceneggiature che abbiamo scritto e che Dario ha solo prodotto, come Demoni, girato di fretta e furia in una location quasi unica (la sala cinematografica) in un clima di euforia e grande energia, con Lamberto Bava che si divertiva moltissimo.

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array