OMBRE ELETTRICHE – "Blossom Again": questioni di genere

Il cinema coreano torna a indagare la posizione della donna nella società, in rapporto a famiglia, amore, sesso. “Blossom Again”, “Sa-kwa”, “The Intimate”, “Love is a Crazy Thing” approfondiscono un percorso iniziato almeno a partire dagli anni '60, ma solo oggi genuinamente critico dello status quo. Almeno in parte.

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La società coreana è stata storicamente sempre molto chiusa nei confronti delle donne, probabilmente più ancora del Giappone, dove pure la donna conservava spazi di autonomia, anche radicale, e sicuramente della Cina, dove pur nella generale sottomissione la situazione della donna era totalmente differente. Buona parte di questo retaggio deriva dalla diffusione del confucianesimo e della sua istituzionalizzazione a partire dal XIV secolo. Un insieme di concause storiche e sociali hanno teso a marginalizzare la figura della donna, impregnando di maschilismo, anche inconsapevole, la società stessa. Fin dagli anni '60 – dopo il protratto dominio Giapponese, terminato alla fine della seconda guerra mondiale, e dopo la fratricida guerra di Corea – anche il cinema coreano ha provato a riflettere sulla "questione femminile" da un punto di vista critico, o almeno dubbioso, nei confronti dei rapporti di forza esistenti. Tra problemi di consapevolezza e altri di censura (il regime dittatoriale instauratosi a inizio dei '60 e caduto a fine '70, il dominio militare di buona parte degli anni '80), i film che hanno affrontato questa tematica hanno però sempre avuto uno sguardo ambiguo, ambivalente, mai perentorio nell'affermare i diritti e le libertà delle donne. D'altra parte, proprio per quelle limitazioni alle libertà individuali e politiche, in Corea non c'è mai stato un movimento di emancipazione della donna equiparabile a quello femminista degli anni '60 e '70 in altri paesi del mondo.

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Molti film hanno indagato le nuove istanze portate dalla modernizzazione, ma mantenendo, al fondo, una prospettiva minoritaria nei confronti delle donne, avvallandone la subalternità al marito e alla famiglia. Lo si vede bene quando a essere presa in considerazione è l'emancipazione sessuale, fulcro della liberazione di ogni donna come individuo autonomo. Nella stragrande maggioranza dei film la donna è dipinta nelle tradizionali vesti di moglie e madre, sorta di essere metafisico votato al sacrificio (o alla castità, nel caso delle vedove), cui si dedica con abnegazione e senso di abbandono – articolando quel particolare sentimento chiamato han, una tristezza che si prova per una sfortuna incontrollabile, che pure viene sopportata con rassegnazione. Quando invece viene ritratta una donna libera ed emancipata nelle proprie scelte sessuali, è comunque vista o come elemento perturbante della stabilità familiare (sul modello della cameriera nel classico The Housemaid, di Kim Ki-young, del 1960) o come semplice oggetto-sessuale, dipinto morbosamente, per quanto disinibitamente (come nella serie di film sulla vita delle prostitute scatenati dal successo di Heavenly Homecoming to Stars, di Lee Jang-ho, del 1974). Pochi sono i film che tentano di indagare con sincerità la sopraffazione del genere femminile alle logiche maschili/tradizionali, come nel caso di Mulleya, Mulleya, di Lee Du-yong (1983), in cui una donna è costretta ad andare con un uomo diverso dal marito, sterile, pur di dare un figlio al casato, salvo poi essere costretta al suicidio per la consumata infedeltà (da lei non cercata). O come in The Surrogate Mother, di Im Kwon-taek (1986), riproposizione a parti invertite del precedente, nel quale una donna povera è "affittata" da una ricca perché partorisca al suo posto, salvo poi essere licenziata con il benservito; alla madre-surrogata, quale unico gesto di ribellione, rimane solo il suicidio.

Di recente il cinema è tornato a indagare l'universo femminile. Molti film presentano figure di donne forti e libere, in questo discostandosi dal solco della tradizione; si tratta però spesso di donne single alla ricerca del loro principe azzurro, cioè di donne preda di una "emancipazione a scadenza" in vista del matrimonio, che giunge prontamente per riportare tutto alla stabilità e normalità casalinga (con canovacci molto simili, che variano dallo sbarazzino Singles al furbo Mr. Handy). Esistono comunque numerosi film, decisamente più maturi, in grado di presentare riflessioni meno annacquate. Come nel caso di Crazy Marriage (Yu Ha, 2002), indagine sul tradimento visto sia da un punto di vista maschile che femminile – contraltare empatico delle esternazioni misogine di un Hong Sang-soo (Turning Gate, Woman is the Future of Man). The Intimate, di Kim Tae-eun, segue i desideri di una donna in procinto di sposarsi, ma insoddisfatta, che in un ultimo tentativo di ribellione cede ai giochi di seduzione di un uomo appena conosciuto, liberando una catena di passioni che mutano la percezione della sua vita (e della sua posizione). Similmente Sa-kwa, di Kang Yi-kwan, vede una donna destreggiarsi sentimentalmente tra un suo precedente amore e il nuovo marito; nessuno dei due uomini riesce a comprenderne realmente i sentimenti, eppure lei è persa nella nell'indecisione e nei sensi di colpa – in gran parte imposti dalla società. La figura centrale di Love is a Crazy Thing, diretto da Oh Seok-geun, è invece una donna-madre che per mantenere intatto il suo nucleo familiare passa dal lavoro come telefonista in una hot line a fare l'accompagnatrice nei karaoke bar; la sua parabola è quella di una donna che prova a non piegarsi, ma finisce preda di meccanismi spietati (come sottolinea la storia parallela della proprietaria dell'agenzia di intrattenitrici). Nonostante la sensazione di apertura e, finalmente, di reale spirito critico, in questa manciata di film molti elementi fanno ancora pensare a una certa ritrosia a dichiarare, mostrare e suggellare l'avvenuta liberazione delle donne dalle tradizioni e dal casto anonimato familiare. The Intimate è ancora nebuloso nell'elaborazione, troppo patinato per riuscire ad affondare il colpo; Sa-kwa ha un finale addirittura detestabile, negando tutti i giusti presupposti nella marcia indietro della protagonista, le cui ultime parole, rivolte ai due uomini, sono "mi dispiace"; Love is a Crazy Thing, infine, nonostante lo stampo quasi neorealista della messa in scena, conserva quell'aura di morbosità tipica delle grandi storie sulle martiri votate alla tragedia. In questo contesto a emergere è un piccolo film, passato quasi inosservato, che senza troppo ardire scardina molti luoghi comuni della rappresentazione della donna nel cinema coreano: Blossom Again, diretto da Jung Ji-woo a sei anni di distanza da Happy End, dispiega in un intarsio delicato e fiabesco i desideri e l'intimità di una insegnante di matematica, persa tra la sua relazione stabile con un uomo comprensivo, la sua attrazione per uno studente diciassettenne e il ricordo indelebile di un vecchio amore dal passato. Giocando con nomi e personaggi che si duplicano nel corso del film, e con le aspettative del pubblico (quello che lo spettatore è portato a credere un flashback), Jung crea un'atmosfera ovattata e finalmente libera, disinibita, non devastata da sensi di colpa, pruderie o risvolti tragico-punitivi. L'elemento più evidente è forse quello dell'attrazione di una donna matura per un ragazzo molto più giovane di lei. Una sorta di tradizione retorica coreana (usata fin dagli anni '70 per simboleggiare il desiderio di fuga della donna al suo ruolo), ma qui trattata senza rincari di tabù, a differenza che in Green Chair, di Park Chul-soo (2005), dove l'obiettivo portava in primo piano con mistificante e compiaciuto voyeurismo gli scambi sessuali tra la protagonista e il suo giovane amante. Blossom Again, tutto sorretto dagli sguardi ironico-malinconici di Kim Jung-eun (impressionante il suo cambiamento rispetto a filmetti comici stile Marrying the Mafia), riesce dove altri sono caduti: presenta senza moralismi una donna forte, completa e completamente consapevole dei propri desideri, in un intrico di relazioni che hanno il coraggio di finire non tragicamente, come prammatica vorrebbe, ma in modo conciliatorio, meditativo, con quella meravigliosa cena a quattro in cui la protagonista si confronta finalmente ad armi pari, e liberamente, con i tre uomini della sua vita. Un lungo percorso, quello dell'emancipazione (cinematografica) della donna in Corea del Sud, di cui solo ora iniziano a emergere i primi, ancora insicuri, risultati.

FILMOGRAFIA


– Blossom Again (a.k.a. Close to You)


anno: 2005


regia: Jung Ji-woo


sceneggiatura: Jung Ji-woo, Kong Mi-jung


cast: Kim Jung-eun, Lee Tae-sung


– The Intimate (a.k.a. Lover)


anno: 2005


regia: Kim Tae-eun


sceneggiatura: Kim Tae-eun


cast: Sung Hyun-ah, Cho Dong-hyuk


Sa-kwa (a.k.a. Sorry Apple)


anno: 2005


regia: Kang Yi-kwan


sceneggiatura: Kang Yi-kwan


cast: Moon So-ri, Kim Tae-wu


Love is a Crazy Thing


anno: 2005


regia: Oh Seok-geun


sceneggiatura: Seo Shin-hye


cast: Jeon Mi-seon, Kim Ji-sook


 


DOVE ACQUISTARE


Blossom Again e The Intimate sono disponibili in dvd nell'edizione coreana. Entrambi i film sono presentati nel corretto formato anamorfico, con audio in coreano e sottotitoli opzionali inglesi. Blossom Again è venduto in un cofanetto con un secondo disco, pieno di extra (non sottotitolati), e un cd musicale con la colonna sonora. Attualmente Love is a Crazy Thing e Sa-kwa non sono ancora stati distribuiti in dvd.


http://global.yesasia.com

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