PESARO 41 – Matti da slegare, di Silvano Agosti, Marco Bellocchio, Sandro Petraglia, Stefano Rulli (Evento Speciale – Marco Bellocchio)

Volti d’incredibile espressività in perpetuo rilievo su un b/n che si fa tappeto di fiammeggianti, scottanti verità che urlano la labilità della diversità ad ogni fotogramma

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Se Morgan, pittore disadattato protagonista di uno dei film-manifesto del free-cinema, era “matto da legare” ed era un parto fictionale, quelli di Agosti-Bellocchio-Petraglia-Rulli sono veri più del vero e sono assolutamente da slegare. Un recupero necessario quello compiuto dall’evento speciale puntato sull’opera bellocchiana, che riporta alla visibilità una pellicola che circolò al di fuori del circuito ufficiale delle sale ovvero in quello “ufficioso” di ospedali psichiatrici, scuole, cineclub, circoli politici e culturali e che in sala ritrova il suo intatto splendore nel suo 30° compleanno. Ben 138 minuti che hanno la scorrevolezza del “necessario” di un’opera di Wiseman, condotti con una confidenzialità coi soggetti avvicinati che sfocia in una sottocutanea, quanto commovente empatìa intimissima con questi ospiti ed ex-ospiti forzosi del manicomio parmense di Colorno, cinema-produttrice di una scienza d’indagine “altra”. Volti d’incredibile espressività in perpetuo rilievo su un b/n che si fa tappeto di fiammeggianti, scottanti verità che urlano la labilità della diversità ad ogni fotogramma. Documentarismo d’autore che (ci) scava a fondo e lascia “sanguinanti”, a tu per tu con le nostre ipocrisie, i nostri preconcetti, le nostre parzialità. Su tutti svettano le feroci invettive del giovanissimo Paolo, un viso che non si dimentica, trapassante da (apparenti?) stati di serenità a rigide prese di posizione, da bambineschi “va a cagare” scagliati contro compagni di scuola, insegnanti e istituzioni, a ragionamenti d’impressionante lucidità sui propri (e altrui) comportamenti ma anche il buon senso dolcissimo e puntiglioso al tempo stesso dell’attempato Martinelli che disseziona magistralmente le condizioni degli ospiti manicomiali, ma anche la musica che s’insinua per brevi momenti, con incantata discrezione, sulla ininterrotta quanto straziante catena di silenzi e parole, aggiungendo, se possibile, nuove sfumature emozionali e trovando il proprio culmine nel finale della festa danzante, momento di (mancata) catarsi che ci fa ribollire di vergogna e nuove consapevolezze.

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