PESARO 43 – Cinema al femminile
E’ un cinema che parla – e guarda – principalmente al femminile quello visto finora a Pesaro. Storie di donne che vivono in contesti ambientali e sociali differenti che però hanno una urgenza di raccontare e raccontarsi, soprattutto di mostrarsi in tutta la loro forza e al tempo stesso fragilità. Si parte dunque con “SOS europa.doc”, la sezione dedicata ai documentari presenta un lavoro della regista turca Ruya Arzu Koksal, Forsaken Paths. I sentieri (selvaggi) abbandonati del titolo sono quelli delle montagne dell’Anatolia, dove ogni estate la tribù seminomade dei Çepni porta le mucche nei pascoli (yayla) a duemila metri di altitudine. Sono tre donne di 20, 28 e 77 anni a raccontare il cambiamento che negli ultimi anni ha stravolto usi e costumi di quella gente, costretta ad emigrare ad Istanbul per trovare lavoro. I giovani hanno abbandonato i villaggi lasciando soli i vecchi a meditare su una tradizione che va scomparendo. La Koksal insiste principalmente nel riprendere le donne nei loro costumi mentre vanno al pascolo o durante i preparativi di una importante festa e risulta evidente una partecipazione emozionale della regista stessa che ha faticato non poco a farsi accettare dalla tribù. Le immagini sono cariche di una malinconia di fondo dovuta all’approssimarsi della fine di un tempo dal ricco culturale passato che lascia spazio ad un anonimo contemporaneo (illuminante la parte iniziale dove viene ripresa una Istanbul grigia e inospitale).
Il concorso PNC dedicato ai lungometraggi vede sempre la donna protagonista di storie che parlano di amori
Anna M. del francese Michel Spinosa focalizza l’attenzione su una donna che si innamora follemente di un medico e non ricambiata, perde il lume della ragione perseguitando l’uomo e finendo rinchiusa in una casa di cura. Ispirato al Caso di Anna O. di freudiana memoria, il film del francese è un pasticciaccio insulso a metà strada tra Chabrol e Polanski, curato visivamente ma freddo e vuoto, incapace di trasmettere emozioni e di coinvolgere, auto compiaciuto della e nella sua presunta “autorialità”, eccessivamente lungo e con momenti di comicità (in)volontaria, privo di ritmo e spessore drammaturgici necessari a dar forma e concretezza ad un lavoro che vuol definirsi “impegnato” (ci si dimentica spesso però che anche il più comico dei film è “impegnato”); il regista ha infatti affermato che il suo intento era quello di fare un film sulla gelosia di taglio più europeo (ma che vuol dire?) evitando rappresentazioni di genere o ad effetto stile Attrazione Fatale (bisogna essere dotati di una certa superficialità per criticare negativamente il film di Adrian Lyne…); l’aspetto più tragico di Anna M. è invece proprio quello di sfiorare molti generi (il dramma, il thriller, il sentimentale) non appropriandosene di alcuno, scivolando in un’inconsistenza di racconto quanto meno allarmante.