Pesaro 45 – El arbol, di Carlos Serrano Azcona (Pesaro Nuovo Cinema)

el_arbol Carlos Serrano Azcona

El albor segna l’esordio dello spagnolo Carlos Serrano Azcona. Il supporto digitale non favorisce l’esito di questa autoproduzione, le cui modalità espressive però evidenziano una certa obbligatoria originalità. Serrano Azcona ha le qualità per raccontare segreti e derive delle anime, ma il suo cinema ha la necessità di un respiro che non sia occluso entro i rigidi limiti che quest’opera prima sembra definire.

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Nel graduale e sempre più rapido quadro di rinnovamento tecnologico del cinema, è inevitabile dovere fare conti con una sempre maggiore diffusione del supporto digitale, non soltanto quale utile formato per una più agile proiezione in sala, ma perfino quale originaria modalità di nascita del film. In questa prospettiva va valutato il caso di El arbol del quarantenne spagnolo Carlos Serrano Azcona, qui al suo esordio alla regia nella sezione principale del Festival di Pesaro.

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Siamo disponibili alle evoluzioni, anche se non possiamo non sottolineare che spesso è un modo questo per fare di necessità virtù e quindi piuttosto che utilizzare la tecnologia per congruità e idoneità della materia cinematografica la si utilizza per fare quadrare i conti del bilancio. Tale costrizione (spesso economica) finisce con l’impoverire l’immagine e appiattire il senso finale dell’operazione.

El arbol, film autoprodotto, è girato in digibeta, per raccontare uno spaccato di solitudine attraverso quella del protagonista Santiago solo, separato e licenziato dal lavoro che vaga senza meta in una città spagnola.

Non possiamo non rilevare che questa vicenda, così come fermata sulla pelle fredda del digitale, è priva di quel necessario spessore, di quel caldo riflesso che la vicenda dovrebbe rimandare allo spettatore. Questi tratti negativi sembrano essere effetto di una sorta di difetto genetico dell’immagine digitale standard, che porta con se una originaria incapacità a restituire quella indispensabile profondità all’immagine che contribuisce a dare spessore al personaggio e alla storia. I colori freddi e (inutilmente) saturi, che diventano solo inespressivo pieno di colore non conferiscono alcuna particolare personalità all’immagine, ci hanno fatto immaginare questo film girato in pellicola, convincendoci di un suo differente e migliore esito. Ma dicevamo, sicuramente, Serrano Azcona avrà fatto i salti mortali per auotoprodurre questo esordio e il costo del supporto avrà pesato non poco sul bilancio finale.

Di certo El arbol non è immune da vizi di suo. Una insistita necessità di esprimere sempre e necessariamente – e in forma didascalica – la solitudine del personaggio con incessanti ed estenuanti riprese dalla sue spalle; una certa fissità della scena che perde spesso il proprio punto di necessario d’equilibrio, a causa di un inutile prolungamento delle sequenze e quindi di un montaggio che risente, anche qui, di una pretesa volontà autoriale  che si esprima attraverso un uso controcorrente dei dispositivi della visione, contribuiscono, non poco a determinare la fatica dello spettatore per un film la cui durata non supera i 70 minuti. Nonostante ciò crediamo che Serrano Azcona lavori abbia le qualità per raccontare i sentimenti delle anime alle deriva e lo attendiamo ad una seconda prova, magari con un budget maggiore e una visione meno insistitamente e obbligatoriamente autoriale del cinema.

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