PESARO 46 – "Nichego lichnogo" (Nothing personal), di Larisa Sadilova (Cinema russo contemporaneo – Sguardi femminili)

nothing personalNichego lichnogo di Larisa Sadilova è un film complesso che dietro l’apparenza del thriller e del film di sentimenti nasconde il grande amore per il cinema come imprescindibile dispositivo di rivelazione di storie e caratteri. La regista russa che lavora sul terreno del realismo, raccoglie però l’eredità dei padri fondatori che  avevano compreso come il cinema fosse soprattutto rivelatore di illusioni.

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nothing personalUna storia di investigazione privata, un pedinamento e una illecita intrusione nella tormentata vita privata di una farmacista, portano l’anonimo Zimin a innamorarsi mettendo in pericolo il proprio matrimonio.

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Nichego lichnogo, diciamolo sin da subito, non ha nulla a che vedere con Le vite degli altri. Tanto politicamente schierato quello, tanto privatamente indirizzato questo. Il film della Sadilova è un’operazione complessa e affascinante che riesce a mescolare, con sagacia narrativa, le componenti del thriller, la densità dei sentimenti del cinema romantico e su un versante più teorico una riflessione sul coinvolgimento della pura azione del guardare, effetto naturale della seduzione narrativa del cinema. Il perfetto equilibrio tra la componente narrativa e quella psicologica consentono al film di viaggiare su questo doppio binario con effetti sicuramente positivi permettendo che nessuna delle due abbia la meglio sull’altra. Anche perché la Sadilova costruisce la tensione drammatica gradualmente attraverso la progressiva rivelazione dei caratteri dei personaggi.

Questi, d’altra parte, si rivelano assolutamente anonimi: Zimin è un uomo di mezza età, non particolarmente affascinante, piuttosto riservato, un brav’uomo comune. Ma anche Irina, la farmacista indagata, che, si scoprirà erroneamente indagata, è una donna non più giovanissima non particolarmente bella. Una prima operazione che suscita maggiore interesse, tra quelle messe in atto dalla Sadilova attraverso il suo lavoro, è proprio quella di intervenire su una realtà volutamente trascurabile, così come è trascurabile la scarna ambientazione (il furgone di Zimin, la spoglia casa di Irina) e ripetitivi gli esterni (la strada davanti al caseggiato dove abita Irina, l’incrocio del bar). L’autrice, attraverso la sua macchina da presa, esalta quindi i suoi personaggi tirandoli fuori da un anonimato al quale erano condannati offrendo loro la possibilità di dimostrare la profonda umanità di cui sono naturalmente dotati e nobilita il contesto delle location trasformandole in un ideale teatro dove vengono messi inscena i bei sentimenti. Il realismo è il terreno sul quale la Sadilova gioca le proprie carte e il suo cinema lavora affinché lo sviluppo dei profili dei personaggi faccia i conti con i paralleli principi di realtà insiti nella narrazione, quasi che quest’ultima e i suoi protagonisti preesistessero e il cinema, illuminandoli e ponendoli al centro della scena, abbia solo scoperto le loro qualità.

Così come l’anonimo Zimin si accorge delle qualità umane di Irina e quest’ultima di quelle di Zimin. In questo utilizzo del cinema come strumento di progressivo disvelamento di una realtà che ci è vicina, inteso anche come possibile manifestazione dell’interesse delle vite private costrette ad un anonimato senza soluzione, sta la complessità e la sfida che l’autrice ha deciso di accettare dimostrando una rara capacità di osservazione e di riflessione. La complessa operazione rivela, quindi, anche la sedimentazione che il film deve avere avuto e, nel contempo, il divieto di liquidare Nichego lichnogo  soltanto come un avvincente film sui sentimenti.

Il film è qualcosa di più e qualcosa di diverso. Il di più sta nella esaltazione/illusione dell’azione del guardare, azione strettamentenothing personal legata alla funzione del cinema e imprescindibile affinché sia data vita alle storie e fiato ai personaggi. Ci si potrebbe fermare a lungo a riflettere sulla funzione scopica del cinema che questo film, come altri sul tema – Peeping Tom e La finestra sul cortile su tutti – suggerisce, tenendo però presente che la Sadilova non lavora su un possibile ipertesto della visione dove lo spettatore vede di più di quanto sia dato e sia possibile vedere, bensì su un realismo del guardare che diventa scoperta e profonda appartenenza alla concretezza del contesto. Verrebbe da dire, non a caso la regista ha girato questo film nella propria città natale e nei luoghi in cui è cresciuta. Ma il finale della vicenda di Zimin e del suo amore fragile e improvviso ci rivela anche che la demiurgica funzione del voyuer (regista compresa) è destinata all’illusione così come tutte  le storie del cinema alla fatuità. Questa era la consapevolezza dei padri fondatori e questa è l’eredità un po’ malinconica che Larisa Sadilova raccoglie e fa propria.

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