Pluto, di Toshio Kawaguchi

L’incontro di Tezuka e Urasawa rivive in un anime folgorante, che come il manga ci costringe a guardare alle nostre imperfezioni, e a ragionare su tutto ciò che ci rende davvero (in)umani. Su Netflix

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Poche opere come Pluto hanno segnato l’immaginario fumettistico nipponico degli ultimi 20 anni, e non solo per la fattura estetica delle sue tavole o per la dirompenza dei temi che attraversano i suoi capitoli. Al punto che potremmo anche spingerci oltre, e dichiarare che un testo come questo era destinato sin dalla sua genesi ad entrare nella coscienza collettiva dei lettori, per come si proponeva di unire in un unico lavoro due delle poetiche più nevralgiche, radicali e importanti per quanto riguarda la storia e l’evoluzione linguistica del fumetto giapponese: stiamo parlando cioè di Osamu Tezuka e Naoki Urawasa. Ovvero da un lato del “Dio dei manga” nonché padre di Astro Boy – e quindi dell’animazione seriale nipponica; dall’altro dell’autore/discepolo che ne ha raccolto l’eredità artistica, e che negli ultimi 40 anni ha contribuito attraverso le sue inarrivabili capacità di storytelling alla legittimazione culturale del fumetto made in Japan.

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Adattare Pluto, allora, non comporta solamente tradurre in animazione le tematiche o gli straordinari intrecci del manga di partenza, ma qualcosa di diverso, che ha a che fare con il modo stesso in cui in Giappone si serializzano e si pensano le storie fumettistiche moderne: significa infatti scavare nei linguaggi e nelle forme (anche iconografiche) su cui storicamente nascono i manga e gli anime, per poi restituire sullo schermo un universo che parla non solo delle sensibilità dei suoi autori, ma dei temi che hanno consentito alle loro riflessioni di verbalizzare in immagini le dinamiche più nebulose dell’animo umano. E che possiamo approssimativamente sintetizzare in un unico, indecifrabile interrogativo: chi è davvero l’uomo? E soprattutto, in cosa consiste la sua natura?

Adattato dall’omonimo manga di Urasawa, a sua volta ispirato agli intrecci di una delle avventure più popolari dell’Astro Boy tezukiano, cioè Il più grande robot del mondo (1964-1965), l’anime di Pluto non ha alcuna intenzione di allontanarsi dagli orizzonti di partenza, sia dal punto di vista tematico che puramente narrativo, tanto che la storia segue pedissequamente le traiettorie del fumetto. Ci troviamo infatti in un mondo cyber-futuristico, dove i robot convivono sullo stesso piano degli umani: le macchine cibernetiche, create da formidabili scienziati, godono infatti degli stessi diritti degli individui, e nessuna barriera (legislativa, sociale e antropologica) sembra ormai separarne le specie. Ma il mondo, in piena continuità con il nostro, è ancora attraversato dagli orrori di una guerra micidiale, la cui onda lunga continua a tempestare la quotidianità dei cittadini, nonostante il conflitto tra la Persia e la Confederazione Tracia sia terminato già da quattro anni. A farne le spese saranno i 7 robot più avanzati del pianeta, che uno dopo l’altro inizieranno ad essere sterminati da una minaccia insondabile, proprio perché difensori di una pace ingiusta, nata sul sangue degli oppressi.

Senza trascendere i confini narrativi dell’opera di Urasawa, l’anime prodotto da Maruyama non solo restituisce con fedeltà i mondi del fumetto, ma ne interpreta con chiarezza tutte le istanze di fondo. Quello che sorprende, e che il racconto qui espone con una linearità folgorante, è il modo in cui Pluto affronta l’interrogativo di cui sopra non dal punto di vista dell’essere umano, ma da quello della macchina. Proprio come in Urasawa, anche qui l’essenza dell’individuo la ritroviamo nell’imperfezione, nella sua capacità di provare sentimenti positivi, e soprattutto nella facilità con cui arriva ad odiare i suoi eguali. Ma ciò che colpisce nel profondo chi guarda, è la direzione da cui l’anime parte per interrogare il significato stesso della natura umana: non appunto dall’immagine di uomini “imperfetti” che anelano alla perfezione della macchina; ma da quella di robot “perfetti” che nel contatto con gli umani si riscoprono fragili, insicuri, come se le loro impeccabili corporeità potessero raggiungere l’evoluzione solo attraverso la regressione allo stato “fallibile” dell’uomo.

È da questo movimento inverso che il racconto porta Gesicht, Atom e gli altri robot a porsi come specchio delle fragilità dell’uomo, malgrado la materia cibernetica che li distingue dai nostri organismi. Tanto che in Pluto tale “diversità” diventa il filo che abbatte le barriere tra l’inumano e l’umano. Tra il creatore e la sua creazione. Costringendoci così a prendere coscienza delle imperfezioni che ci caratterizzano, non attraverso il ritratto di uomini fragili, ma a partire dal dramma di personaggi non-organici. Che perdono la loro eccezionalità nel momento stesso in cui conoscono il dolore, tutto umano, del fallimento.

Titolo originale: id.
Regia: Toshio Kawaguchi
Voci: Shinshū Fuji, Yōko Hikasa, Minori Suzuki, Toshihiko Seki, Eizou Tsuda, Hidenobu Kiuchi, Kazuhiro Yamaji, Kōichi Yamadera, Mamoru Miyano, Toshio Furukawa, Rikiya Koyama, Romi Park
Distribuzione: Netflix
Durata: 8 episodi da 56-67′
Origine: Giappone, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
Sending
Il voto dei lettori
4.22 (9 voti)
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