"Quella di Sayuri è una storia universale, parla della scelta di non arrendersi a una vita senza amore". Incontro con Rob Marshall e John DeLuca

Tratto dal best seller di Arthur Golden è nelle sale di tutto il mondo il film "Memorie di una geisha". Ne abbiamo parlato con il regista del film Rob Marshall e con il coreografo e co-produttore John DeLuca

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Tra delicati kimono simili ad opere d'arte e bellezze orientali, il film porta lo spettatore in un universo culturalmente distante, in cui la figura della geisha, poco conosciuta dal mondo occidentale e per questo motivo spesso fraintesa, si erge come modello di arte e femminilità.

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Tanto il libro quanto il film descrivono un mondo particolare, quello delle geishe della prima metà del '900. Come è possibile rendere comprensibile questo aspetto della cultura giapponese e trasmetterne tutto il fascino? 


Marshall: Per tradurre questo film in un prodotto che possa funzionare per il pubblico occidentale siamo partiti dal romanzo di Arthur Golden, che è uno scrittore americano. Ho avuto la sensazione che il suo libro fosse un modo di vedere il Giappone attraverso gli occhi di un autore occidentale. Il film poi ha fatto fare a questa visione un ulteriore passo in avanti.


Ho portato il mio team di collaboratori in Giappone e abbiamo studiato in maniera dettagliata e approfondita il mondo delle geishe, il Giappone degli anni '20, '30 e '40 e lo abbiamo utilizzato come base di partenza per realizzare il film. Si tratta di una pellicola in un certo senso impressionista, in cui anche la visione della musica passa attraverso l'occhio occidentale.


 


DeLuca: Devo dire che Rob ha insistito moltissimo che tutta la squadra creativa, a partire dalla costumista, dal direttore della fotografia, etc., si immergesse pienamente in questa cultura e la studiasse e la apprendesse come se dovessimo realizzare un documentario. Ovviamente il prodotto finale non era certo un documentario però di fatto doveva essere qualcosa che desse un'impressione artistica del mondo che andavamo a rappresentare. Per noi è stato affascinante immergerci in questa cultura e impararne i vari aspetti, in modo tale che ogni membro della squadra, ogni artista potesse darne poi la propria impressione.


 


Il libro è molto particolareggiato e racconta la storia in forma di monologo. Quali sono state le difficoltà di portare questa vicenda al cinema, che cosa avete deciso di tralasciare e che cosa di sottolineare?


Marshall: Per prima cosa quando mi preparavo a realizzare questo film mi sono seduto con Arthur Golden e ho discusso con lui in maniera approfondita a proposito della struttura. Volevo trovare in un certo senso l'ossatura di questo racconto. Quello che ho cercato di sottolineare è la storia delle emozioni. Certo è estremamente difficile trasformare un romanzo di ben 400 pagine, peraltro amato da tutto il mondo, in un film. È ovvio che alcune cose devono essere trascurate e lasciate fuori per forza. Già il film è di 2 ore e 20, se avessimo voluto inserire tutto ciò che è contenuto nel romanzo avremmo dovuto fare un film di 20 ore e questo ovviamente non era possibile.


 


Il libro è scritto in forma di monologo. Quali difficoltà avete incontrato nel portare questo racconto sul grande schermo?


Marshall: Bisogna dire innanzitutto che Arthur Golden ha scritto questo libro per ben tre volte: le prime due volte lo ha scritto in terza persona, "Lei fece questo", "Lei fece quello"; poi la terza volta lo ha scritto in prima persona, "Ho fatto questo", "Ho fatto quello", ed è lì che finalmente il libro ha preso per lui vita. Ho cercato di partire da questi punti e comunque quello che ho cercato di fare è stato inserire nel film tutto ciò che potesse essere utile per quello che era il viaggio emotivo della protagonista. Perché questo libro parla in effetti di quelli che sono i limiti, le restrizioni a cui il cuore di una geisha si deve sottoporre. Fondamentalmente qui si parla di una geisha che si deve arrendere ad una vita in cui non c'è possibilità di scelta e in cui non c'è spazio per l'amore. Questo è stato l'elemento centrale, questo è ciò di cui parla il film.


 


DeLuca: Di fatto si tratta dell'arte, che è centrale nella vita di una geisha, la parte più importante. Nello studio di questa cultura abbiamo scoperto che se una geisha riesce ad  essere una eccellente ballerina viene soddisfatto il suo sogno, perchè al di là delle altre arti, come il saper suonare uno shamisen, l'arte della calligrafia o la cerimonia del tè, la danza risulta essere la caratteristica centrale nella sua formazione. Per questo motivo Rob e io abbiamo deciso che questa danza doveva essere la verifica principale. Se la nostra Sayuri fosse riuscita ad essere una danzatrice superba allora sarebbe stata la più grande geisha vivente. Abbiamo quindi studiato i vari tipi di danza nella cultura giapponese: la coreografia è mia, ma è basata su reali movenze della danza giapponese tradizionale e sul teatro kabuki.


 


Qual è stata la scena più difficile da realizzare?


Marshall: Da un punto di vista emotivo sicuramente le scene più difficili sono state quelle del Giappone nel dopoguerra, vale a dire il momento dell'occupazione americana. Non dimenticherò mai l'arrivo sul set, dopo aver passato giorni e giorni a filmare questo periodo glorioso del Giappone degli anni '30, e poi invece cominciare a vedere come le cose cambiavano, come apparivano le insegne, i segni dell'America, i segni  dell'occidentalizzazione. Tutte cose che io ho vissuto un po' come la perdita dell'innocenza del mondo giapponese in quel momento, il che mi ha intristito molto. È stata la parte del film forse più dolorosa da realizzare.


La più difficile dal punto di vista tecnico è stata invece quella scena in cui vediamo che nell'acqua del fiume si mischia un colore rosso che sembra sangue e che è invece il colore del kimono che si scioglie nell'acqua. È una lunga inquadratura, è stata molto difficile da girare, abbiamo dovuto utilizzare apparecchiature particolari, come una gru, e c'erano dei primi piani, poi la visione si allargava, poi si avvicinava di nuovo. Tra l'altro pioveva ed era tutto molto fangoso, quindi abbiamo dovuto mettere tutte le attrezzature sull'elicottero. L'acqua poi era gelida, il che ha reso gli attori non troppo felici di girare la scena.


 

Come è stato accolto il film in Giappone?


Marshall: La prima mondiale di Memorie di una geisha si è tenuta a Tokyo il 28 novembre e devo dire che il film è stato accolto alla grande. Eravamo molto nervosi e temevamo moltissimo la reazione, invece è stato accolto molto bene anche perché è stato preso come un film "hollywoodiano"  che rendeva omaggio a questo mondo: una specie di lettera d'amore nei loro confronti, una lettera d'amore nei confronti del mondo delle geishe degli anni '30.


 


Come avete ricreato l'immagine della geisha e come è cambiata oggi?


Marshall: Le geishe all'epoca erano un po' come le top model di oggi: le altre donne sognavano di essere come loro, volevano sapere come si vestivano, con chi uscivano, che cosa dicevano. Oggi le geishe esistono ancora in Giappone, ma sono di altro tipo, è una professione completamente diversa: oggi una ragazza intorno ai 16 anni che va alla scuola superiore può scegliere che cosa fare nella vita, può decidere di studiare le arti tradizionali e diventare una geisha. Quando siamo stati in Giappone siamo stati intrattenuti da alcune geishe, abbiamo visto una giovane maiko, abbiamo visto come veniva vestita e truccata, abbiamo parlato con loro, abbiamo parlato anche con le geishe più anziane. E poi c'è un'esperta, Liza Dalby, un'esperta di geishe, che è sempre stata con noi sul set e ci ha parlato a lungo e in maniera dettagliata di questo mondo. Un mondo che è sempre stato gestito da donne: sia gli okiya che le case da tè erano di proprietà di donne.


Quella raccontata nel romanzo e nel film è una storia secondo me universale, che parla della possibilità di fare delle scelte. Sayuri resiste all'idea di non avere possibilità di decidere e alla fine trionfa nella vita, diversamente da quello che accade invece ad altre geishe. Lei è animata da uno spirito che le consente di andare avanti e dalla presenza di quest'acqua che ha negli occhi, che è la sua forza. La storia esplora l'idea che se hai uno scopo, un obiettivo, alla fine ce la farai.


 


Sayuri può essere considerata un po' come Cenerentola?


Marshall: In parte sì, è una storia che in effetti un po' ricorda Cenerentola anche se c'è molto di più che non semplicemente il fatto di sposare il principe. Secondo me la storia di Sayuri è una storia di scoperta di sé, si tratta di trovare la propria strada, il proprio posto e va ben oltre il fatto di innamorarsi e trasferirsi al castello. L'immagine che abbiamo utilizzato e che abbiamo preso dal libro è l'immagine dell'acqua, l'elemento con il quale lei viene identificata per via del colore degli occhi. A prescindere da tutte le avversità comunque l'acqua nel suo fluire è in grado di aggirare ogni ostacolo, di superarlo per crearsi un nuovo percorso, una nuova strada ed è esattamente quello che fa anche lei.


 


DeLuca: Per questo motivo Rob ha voluto finire il film in una modalità agrodolce: non si è trattato solamente di trovare l'amore, ma c'è un elemento ulteriore, che è quello di ritrovare la bambina dentro di sé.


 


Inizialmente doveva essere Steven Spielberg il regista di questo film. Come si è trovato a lavorare con lui?


Marshall: È stato Steven a chiamarmi e a chiedermi insieme ai produttori di realizzare questo film. È una persona estremamente intelligente, sa che ogni regista deve fare il proprio percorso dall'inizio alla fine. Lui aveva fatto il suo, anche se in parte perché poi questo percorso si era interrotto, ma aveva già cominciato a lavorarci, aveva già alcune stesure della sceneggiatura. Io non ho visto il lavoro precedente, sono partito da zero, ho cominciato il lavoro da capo, dalla sceneggiatura.


La cosa fantastica di avere un produttore che è anche regista è che lui sa bene cosa sia importante e necessario per un regista quando realizza un film. Se penso a Steven come produttore le parole che mi vengono in mente sono "sostegno" e "incoraggiamento". Lui mi ha detto "trova la tua visione e io la sosterrò" cosa che io ho fatto. Dopo aver visto la prima versione del montaggio era contentissimo e mi ha detto "sarò orgoglioso di questo film per il resto della mia vita". Mi ha sostenuto e questo è stato molto importante per me.


 


DeLuca: Conosco bene Steven Spielberg perché avevo già lavorato con lui una volta (in qualità di coreografo per il film The Terminal, ndr) e non c'è bisogno di dire che è una persona che adoro. Quando lui ha assistito alla prima versione del montaggio eravamo tutti molto nervosi. È stato questo l'aspetto particolare perché lui è stato seduto in poltrona per un po', poi quando si è alzato lo abbiamo visto veramente commosso da questa esperienza e ricordo che ha detto a Rob "Hai fatto un lavoro veramente straordinario, migliore di quello che avrei potuto fare io".


 


Come è stato accolto il film in Giappone?


Marshall: In Giappone il film è già uscito e abbiamo dei riscontri estremamente positivi in termini numerici. Posso parlare solo di quello che è il tono generale delle varie recensioni che è stato molto positivo e affettuoso nei nostri riguardi. Hanno accolto bene il film, anche perché sanno benissimo che non è una riproduzione autentica del loro mondo, è solo un'impressione che noi abbiamo. Alla prima tra l'altro sono venute 3000 persone, la più grossa anteprima mai avuta da loro e da quello che mi viene riferito non ci sono state reazioni negative.


 


DeLuca: Io ho parlato con moltissimi giapponesi, ma il fatto di essere lì e di poter percepire la reazione del pubblico mi ha aiutato a capire cosa stava succedendo. Di fatto questo è un film che non fa altro che amare, ammirare, apprezzare e onorare la loro cultura. Questo è percepito chiaramente dai giapponesi. Tutti coloro con cui ho parlato mi hanno detto che non ci potevano credere che un film del genere non avesse nessuna star hollywoodiana, il cast infatti è tutto asiatico. Per noi sarebbe stato facile prenderci un Tom Cruise, una Renée Zellweger e truccarli e vestirli per la parte, ma non lo abbiamo voluto fare, abbiamo scelto di rimanere all'interno della cultura asiatica e questo li ha colpiti, come lo siamo stati noi dalla loro reazione.


 

Le attrici principali sono asiatiche ma non sono giapponesi. Come mai?


Marshall: La mia filosofia nella scelta del cast è una filosofia molto semplice: l'attore migliore per quel ruolo ottiene la parte. Il compito di un regista è di dare vita ad un personaggio. Abbiamo cercato in tutto il mondo, in Giappone, in Cina, in America, a Londra. Quando ad esempio per Chicago ho scelto Queen Latifah, mi è stato detto che all'epoca non ci sarebbe mai potuta essere una donna di colore a capo di una prigione, ma secondo me lei era la migliore per quel ruolo e io gliel'ho dato.


In questo film ci sono 8 attori principali, di cui cinque sono giapponesi (Ken Watanabe, Suzuka Ohgo, Cary-Hiroyuki Tagawa, Kôji Yakusho, Youki Kudoh, ndr), due cinesi (Gong Li, Ziyi Zhang, ndr) e uno malese (Michelle Yeoh, ndr). Io ho cercato di scegliere i migliori. Tra l'altro per Sayuri, la nostra protagonista, abbiamo trovato questa attrice, Ziyi Zhang, che secondo me è la migliore anche perché la protagonista doveva essere innanzitutto capace di recitare, doveva essere bella e un'eccellente ballerina e danzatrice, doveva essere in grado di rappresentare un personaggio che va dai 15 ai 35 anni e doveva avere la presenza e lo spirito di una star. Queste qualità sono rare in un attore e credo che questa sia un'attrice di quelle che capitano una volta sola in una generazione.
Una scelta del genere fa parte dell'industria cinematografica, è la ragione per cui Anthony Quinn ha interpretato Zorba il greco sebbene fosse in parte messicano e in parte irlandese, o per la quale Omar Sharif pur essendo egiziano ha interpretato Il Dottor Zivago. La questione è semplicemente quella di scegliere l'attore più adatto al ruolo.


 


C'è stato qualche momento durante le riprese in cui si è sentito come Bill Murray nel film Lost in Translation?


Marshall: Un po' sì. Anche perché sia durante le prove che durante le riprese abbiamo dovuto lavorare con il cast e con la troupe attraverso gli interpreti. Avevamo attori giapponesi e attori cinesi, quindi ogni volta che dicevo qualcosa questa veniva tradotta nelle due lingue, anche perchè tra di loro non erano in grado di comunicare se non durante la scena, quando si parlavano in inglese. Tra l'altro ai giapponesi piace molto la negoziazione, la trattativa, gli piace molto discutere di una cosa, anche quando la risposta magari è un semplice sì o un semplice no, però prima di arrivarci gli piace parlare.


 


DeLuca: Dal punto di vista linguistico è successa una cosa straordinaria, veramente particolare. Ad un certo punto, mentre i traduttori erano all'opera, Rob diceva "Basta basta": interrompeva i traduttori perché in qualche modo capiva quello che gli attori stavano dicendo anche se parlavano nella propria lingua. Dopo tutte le prove si era creata una chimica tale per cui riuscivano a capirsi anche al di là delle barriere linguistiche.


 


Come mai avete scelto Roma come prima città europea in cui fare uscire il film?


Marshall: Mi piacerebbe poter dire che ho scelto io Roma, ma non è stato così. Però se avessi potuto scegliere io avrei comunque scelto Roma, perché è una città meravigliosa. Peraltro all'interno della nostra troupe abbiamo avuto un fantastico montatore italiano, Pietro Scalia.


 


Cosa conosce del cinema italiano?


Marshall: Beh, lo avrete sentito ripetere innumerevoli volte, ma Fellini è stato sicuramente un regista che mi ha ispirato moltissimo. Quando ho realizzato Chicago, molte persone hanno definito questo film "felliniano" per via degli elementi surreali che contiene. Io trovo che Fellini sia un grandissimo maestro del cinema, in questo campo lo possiamo veramente definire un Dio.


 


Può anticiparci qualcosa per quanto riguarda i contenuti del DVD?


Marshall: So che ci sarà un "making of" del film, un video sulle geishe, qualche commento da parte nostra e forse un finale alternativo…


 


Significa che esiste già un finale alternativo?


Marshall: Sì, lo abbiamo girato, ma non lo abbiamo ancora usato.


 


Dirigerà un altro musical?


Marshall: Spero di poter realizzare presto un altro musical. Non sono sicuro che sarà il mio prossimo film, ma dovrebbe essercene uno.


 


Che cosa potrebbe essere?


Marshall: Mi piacerebbe poterlo sapere già. Ma quando impieghi tanta energia nella realizzazione di un film, ti impegni anima e corpo come ho fatto io con Memorie di una geisha, dopo ti senti un po' svuotato. Quindi quello che vorrei fare è prendermi una piccola pausa per ricaricarmi. 


La_stagione_2005/2006

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