"Questo film è il nostro Suspiria". Incontro con i Manetti Bros. e il cast di PAURA 3D


Presentato oggi alla stampa romana il nuovo film dei vulcanici Manetti BrosPaura 3D, con Peppe Servillo, Francesca Cuttica, Domenico Diele, Lorenzo Pedrotti e  la webstar Claudio Di Biagio, con le musiche di Pivio De Scalzi. 220 copie in digitale distribuite in 3D pronte a riempire le sale italiane dal 15 giugno prossimo. I due registi si raccontano, tra i riferimenti ai maestri italiani (Bava, Argento), all'horror giapponese, e la possibilità di sbarcare a Hollywood con un remake de L'arrivo di Wang…

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

Avete coniugato la grande tradizione del cinema italiano di genere con delle suggestioni orientali. Come nasce l’idea di Paura 3D e perché avete girato il film in 3D?

Manetti
: Abbiamo l'abitudine di spaziare molto fra i generi, ma è stato un caso. Amiamo l'horror e si è presentata una storia che avevamo in serbo da qualche anno. È vero che dal punto di vista visivo esiste una suggestione giapponese. Il 3D in questo momento è una nuova frontiera anche se non ancora perfetta, però ci divertiva l’idea di provarci. Girare in 3D è più faticoso, comporta aggiustamenti in più, è come il colore e il sonoro: un passo in avanti nella storia del cinema. Abbiamo cercato di puntare alla profondità dell’immagine più che all'effetto spettacolare. Dopo la prima settimana è diventato facile e ora ne siamo soddisfatti. Pensiamo che sia un esperimento riuscito e ci sembra di aver fatto un bellissimo 3D.

Sembra evidente il riferimento alla vicenda austriaca di Natascha Kampusch…

Manetti
: Inizialmente non ci siamo ispirati a quella vicenda, ma nel raccontare la nostra storia abbiamo approfondito lo studio di una serie di persone che nella vita hanno vissuto esperienze simili, quelle di Natascha Kampusch ed Elisabeth Fritzl, in particolar modo. La Kampusch ha scritto un libro, 3069 giorni, un diario di prigionia in cui racconta quello che poi abbiamo messo in scena a modo nostro.

Come si sono trovati gli attori a raccontare questa storia?

Claudio Di Biagio
: ho preso l'esperienza come un divertimento, ho cercato di interpretare il mio personaggio fuori dalla vicenda horror. Adoro i personaggi dei film horror perché sono un po’ stupidi, non si può fare horror senza che si cada nelle trappole più banali. È stata un’esperienza divertente, perché nel film i protagonisti sono reali, non sono costruiti, sono dei ragazzi tipici delle periferie romane.

Francesca Cuttica
: il lavoro con i Manetti è stimolante. Dopo tante telefonate, abbiamo capito che valeva la pena fare un provino. Si sono creati quella confidenza e quel rapporto che risultano poi decisivi per un ruolo del genere. Il mio mestiere richiede di portare le proprie paure a dei limiti estremi, meccanismo necessario per affrontare un ruolo assurdo come questo. Bisogna buttarcisi fortemente con uno studio serio e a quel punto la curiosità attoriale e la voglia di mettersi in gioco, di imparare, di spingersi oltre stimolano il coinvolgimento giusto. In un film di genere, il lavoro alla fine finisce con una risata. È un horror, è intrattenimento. E questo fa sì che dopo il lavoro duro si esca dalla sala con un sorriso perché ci si ricorda che è un gioco.

Quei tre minuti iniziali, stupendi, con la musica di Pivio De Scalzi, da chi sono stati realizzati? 

I titoli di testa sono di Sergio Gazzo, pittore grafico con cui abbiamo lavorato per la prima volta. Servono per far entrare lo spettatore in un mondo a metà fra l’incubo e la favola. Effetto riuscitissimo, a nostro parere. Non ci siamo consultati con nessuno psicanalista, per il semplice fatto che è il film e non un’opera scientifica. Si tratta comunque di una rappresentazione personale, di una nostra visione, difficile da seguire perché non completamente logica. Ogni personaggio ha la propria psicologia ben curata.

Pivio, come hai lavorato con la musica?

Pivio
:È stata una sorta di sfida, è il primo film in cui lavoro da solo (senza Aldo De Scalzi). L’idea di base era quella di mantenere la sensazione di un ambiente dove sta per accadere qualcosa di terribile, che si intuisce già dalle prime note. Mi sono basato su un'unica partitura che porta al gran finale. Ho fatto pochissimo utilizzo di orchestra rispetto ad altri lavori, perché il film lo permetteva. Si è trattato di uno sviluppo più sonoro che armonico.

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE UNA SERIE TV DALL’8 MAGGIO

--------------------------------------------------------------


Il film è ricco di citazioni, potete dire due parole al riguardo, anche sulle voci di chiamate internazionali, Hollywood e possibili remake di vostre opere?

Manetti
: Non so perché facciamo quest’effetto, in realtà non citiamo mai. Bava non è una citazione, è un racconto di un contesto che aiuta ad inquadrare un personaggio. Simone in qualche modo era simbolo di un certo tipo di ragazzo, viene da una realtà non borghese dove l’idea che un regista di genere come Bava venga citato ci fa ridere. Amiamo molto il cinema e quando facciamo determinate inquadrature involontariamente ci ispiriamo a quello che abbiamo sempre visto e adoriamo. Il modo in cui abbiamo costruito Francesca può ricordare le figure femminili di un film giapponese, è vero, ma non è voluto fino in fondo. C’è una reminiscenza involontaria. Non siamo citazionisti e neanche ci piacciono i registi citazionisti. Per quanto riguarda i remake, stiamo trattando con una serie di proposte, è possibile che L’arrivo di Wang avrà un remake americano, ma le proposte di sceneggiature che ci sono giunte finora sono state ridicole.

E Argento?

Manetti
: Vero, l'inizio è proprio pensato su Argento, soprattutto ci si rifà a Suspiria. L'atmosfera, la pioggia, il vento sono elementi che lo richiamano, del resto è un film che ci piace tantissimo. L’inizio è costruito appositamente per creare inquietudine, ovviamente non allo stesso livello, ma abbiamo comunque preso qualcosa. Ci abbiamo pensato, ma ribadiamo il fatto che non si tratti di citazionismo, noi pensiamo che Dario Argento sia il più grande regista dell’angoscia del cinema e quindi in quella parte iniziale siamo quasi alla copia. Ci siamo fatti guidare dal maestro, riproponendo un’atmosfera che sapevamo avrebbe funzionato. Non è un’affermazione cinefila ma da fan, da appassionato. Cerchiamo di ispirarci a chi prima di noi ha usato questo mezzo. Come Hitchcock.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

 

 

 

_________________________________________________________________________________________________

Puoi dare un contributo per questo contenuto editoriale con una libera donazione – di qualsiasi importo – a Sentieri selvaggi.

_________________________________________________________________________________________________

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array