Rimini, di Ulrich Seidl

In concorso al Festival di Berlino, il film del regista austriaco è un viaggio invernale tra lidi e alberghi deserti. Ma la partecipazione nella sofferenza dei suoi interpreti si fa attendere…

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Presentato in concorso all’ultima Berlinale, Rimini è una sorta di viaggio invernale nella destinazione balneare nostrana più frequentata e conosciuta almeno dal nostro immaginario collettivo. Un viaggio sentimentale e nichilista allo stesso tempo, se questo può essere possibile. Qui i sogni splendono almeno per tutta l’estate per poi infrangersi al calar della nebbia o addirittura sotto la neve, come appunto accade tra le strade e i lidi deserti.

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Potrebbe essere anche un regolamento di conti, una satira, una denuncia e niente di tutto ciò. Il cineasta austriaco, premiato nel 2001 con il Gran Premio della Giuria a Venezia per Canicola e divenuto famoso soprattutto con la pluripremiata trilogia Paradies iniziata nel 2012, ha voluto presentare una Rimini inedita per raccontare al meglio una storia sul viale del tramonto, che ricorda per certi versi il Mickey Rourke di The Wrestler, non fosse altro per la somiglianza fisica con il convincente protagonista austriaco Michael Thomas.

Costui è Richie Bravo, un tempo celebre pop star che rincorre la sua fama ormai assopita dal tempo, proprio a Rimini, d’inverno. Dipendente dall’alcol e dal gioco d’azzardo, con un fisico tenuto su da panciere e lustrini, si mantiene facendo spettacoli per i suoi ex fans in vacanza e vivendo da gigolò per gli attempati sostenitori. Quando ad un certo punto si presenta la figlia che non vedeva da tantissimi anni, la situazione comincia ancora di più a scricchiolare. Lei, ormai diciottenne, vuole i soldi che il padre non le ha mai dato, e soprattutto vuole far pagare al padre la sua assenza come genitore. In più, Richie deve pure badare al padre affetto da demenza senile e ricoverato in una casa di cura austriaca.

Quantomeno nelle intenzioni, un piccolo classico sulla solitudine e sulla nostalgia, di fronte alla distruttività, all’incuria e alla falsificazione contemporanee, per rivolgere l’ascolto alle voci ultime e infime sperando che possano diventare, nel pericolo che ci attraversa, la sorgente di un futuro possibile. Voci ultime non direttamente umane ma legatissime al modo in cui gli umani abitano, in bellezza e dolore, oppure distruggono, deturpano, i luoghi e la loro memoria. Una memoria che l’estetica globale contemporanea, e la demenza senile del padre di Richie ne è la prova, la più popolare come la più esclusiva, sembra avere perduto. Ogni inquadratura sembra cercare qualcosa di poco conto, venendo a comporre, immagine dopo immagine, una specie di preghiera di nostalgia che è appunto anche una denuncia. I soggetti/oggetti di tale preghiera che accusa sono casa, facciata, vetri, bianco, luce, rovine, tempo, patina, memoria, cura, nostalgia. La nostalgia che si appropria dei corpi, dei luoghi, dell’incuria che l’uomo ha per il proprio destino, della violenza che la tecnologia moderna opera sul nostro mondo, del silenzioso camminare in una strada che evoca fantasmi bruciati dal sole d’estate.

Corpi e luoghi perduti le cui tracce indistinte formano il tessuto della vita, anche quella di Richie. Per vivere non basta riconoscere la caducità, bisogna onorarla. Senza le rovine del passato tutto diventa asettico e finto: se cancelliamo la mortalità della vita, anche Rimini, al pari di qualsiasi altro luogo, diventa eternamente morta. C’è da dire però che nonostante le ammirabili intenzioni, il film non trova mai completamente la chiave giusta per accedere al mondo della sofferenza e della cieca speranza nelle quali i vari interpreti restano inevitabilmente invischiati.

 

Titolo originale: id.
Regia: Ulrich Seidl
Interpreti: Michael Thomas, Tessa Göttlicher, Hans-Michael Rehberg, Inge Maux, Claudia Martini, Georg Friedrich
Distruzione: Wanted Cinema
Durata: 114’
Origine: Austria, Francia, Germania, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.8
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Il voto dei lettori
3.75 (16 voti)
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