RISI VS VITALI – Una polemica inutile

Alvaro Vitali è innocente. Lasciamo in pace lui, Dino Risi e la Cinémathèque. Non riempiamo le pagine di parole inutili, e riflettiamo invece sulla difficoltà di fare film di genere in Italia. Perché la "Legge Cinema" c'entra qualcosa.

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A cosa serva ragionare sull'opportunità, da parte della Cinémathèque, di fare di Alvaro Vitali l'eroe di una stagione cinematografica popolare, rimane un mistero. L'impressione che da più parti si voglia dare vita ad una discussione interstiziale, residuale, destinata solo a riempire pagine altrimenti piene di diverse vacuità, è forte.

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Qual è la colpa di Alvaro Vitali? Essersi prestato ad operazioni commerciali dal chiaro intento di procurare beneficio principalmente a produttori cinematografici col fiuto per gli affari? Aver dato vita a personaggi che sintetizzavano molte delle mediocrità nazionali, umanità di cui ridere pensando subliminalmente di ridere di sé stessi? Oppure di non essersi riciclato nel business, di non aver tentato di sfruttare – magari a distanza di anni – una notorietà guadagnata a colpi di peti e pernacchie rivolte a maestre, professori, sergenti, vigili, onorevoli, insomma tutti gli amministratori di poteri grandi e piccoli verso le spalle dei quali dirigere un moto di fastidio tutto vigliaccamente italiano?


Alvaro Vitali è innocente. Innocente, perché operazioni commerciali se ne sono fatte, se ne fanno tutti i giorni – specialmente da quando nel nostro paese si fatica a trovare opportunità di vivere di cinema fuori dal piccolo schermo – e se ne faranno sempre: in Italia e nel resto del mondo. Innocente, perché ricreare difetti nazionali è stato un denominatore comune di tutti i grandi interpreti della commedia italiana. Innocentissimo, nell'aver saputo accettare un'emarginazione che tocca tutti coloro che, come lui, non possiedono il dono di sapersi riciclare come scrittori, produttori, conduttori televisivi o, principalmente nel caso di avvenenti signore, come mogli da jet-set.

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Lasciamo alla principale istituzione cinematografica francese, dopo quasi settant'anni di attività, il diritto di decidere liberamente chi celebrare; anche perché, nel proprio statuto, la Cinémathèque non fa distinzione tra cinema nobile e cinema ignobile: essa vuole infatti "contribuire ad una migliore conoscenza della storia della cinematografia ed al suo insegnamento metodico, avviando ricerche, pubblicazioni o manifestazioni dedicate alla storia del cinema ed incoraggiando tutti gli studi in tal senso". Tutti gli studi sul cinema, non solo quelli "giusti", secondo canoni non meglio definiti. A meno che non si voglia escludere dalla definizione di "cinema" il trash di Laurenti, Girolami, Tarantini e tutti gli altri che hanno avuto davanti alla macchina da presa Alvaro Vitali.


Lasciamo in pace il grande vecchio Dino Risi, ed accettiamo dalla sua voce qualsiasi tipo di critica su qualsiasi protagonista di qualsiasi cinema.


Lasciamo in pace l'ex-elettricista Alvaro Vitali, da poco cinquantacinquenne, e facciamogli godere una notorietà che, senza la Cinémathèque, sarebbe rimasta confinata al vastissimo e silenzioso mondo degli internauti: a lui, comunque, è dovuta la simpatia che si deve alle vittime di errori giudiziari.


Riflettiamo invece, se proprio è ancora necessario spendere parole su fenomeni riguardanti il cinema di genere, sulle conseguenze derivanti, nel nostro paese, dall'art. 8 della c.d. "Legge Cinema": conseguenze da verificarsi non su quel passato cinematografico di cui non parleremmo mai durante una cena in società, ma sul presente e sul futuro di un cinema che deve avere il coraggio di non essere d'essai.


 

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