#RomaFF11 – London Town, di Derrick Borte

Un film che si divide tra la voglia di raccontare un periodo storico ed il coming of age di un giovane ragazzo. Nella sezione Alice nella Città di RomaFF11.

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I went to the place where every white face is an invitation to robbery / Sitting here in my safe European home, I don’t want to go back there again” cantava Joe Strummer alla fine degli anni ’70 alla guida dei suoi Clash, sullo sfondo di una rivoluzione musicale che avrebbe coinvolto tutto il Regno Unito. La classe media dei lavoratori aveva trovato il suo portavoce, così come i tanti giovani che si affacciavano per la prima volta sulla scena della politica controversa di quegli anni. Ma, come in tutte le lotte sociali, c’è sempre qualcuno che paga il prezzo del cambiamento e che rimane incastrato nel limbo tra il vecchio ed il nuovo non capendo da che parte dovrebbe stare. Come il giovane protagonista di London Town, costretto troppo presto a fare la parte dell’adulto in un mondo ormai del tutto ammaliato dalla rottura punk che canta la fine del tradizionalismo. london-town-1

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Il suo coming of age è la linea guida che traccia i binari dell’intero film, ricalcando i classici step di un romanzo formativo fino ad arrivare alla maturazione finale dove tutto è finalmente chiaro e privo di ambiguità. Similmente al ragazzo sullo schermo, però, anche questo London Town non sa bene da che parte vuole stare e si divide in due anime distinte. La prima, quella che funziona meglio, è stata puramente pensata per un pubblico di giovani spettatori ai quali è destinata una parabola sulla forza dei piccoli gesti e delle rivoluzioni familiari; la seconda è quella che invece ha subito il fascino di un periodo in cui si avvertiva una vitalità, sia musicale che sociale, di cui evidentemente il regista Derrick Borte sente la nostalgia. Non si tratta dunque né di una sorta di biopic sul leader dei Clash, come furbamente il marketing messo in atto negli ultimi mesi vorrebbe far credere, né puramente di una pellicola young adult dalle intenzioni chiare. Il risultato è quindi un prodotto di intrattenimento che non soddisfa né delude nessuno, di cui però si poteva sfruttare meglio l’intenzione di togliere ad un’icona storica, come quella di Strummer, la sua aurea di superuomo per inserirla in un contesto quotidiano nella parte di guru per un piccolo uomo. Invece il cantante interpretato da Jonathan Rhys-Meyers riesce comunque ad essere più interessante di tutto il mondo creato affinché potesse interpretare solo la parte del figurante, segno evidente che serviva un altro tipo di impronta per far svanire l’ingombrante fascinazione nei confronti di un’epoca. E alla fine di London Town rimane solo la voglia di rispolverare i vecchi CD.

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