SCONFINAMENTI – 11 settembre, quella mattina tra i pompieri delle Twin Towers

Due registi francesi, Jules e Gedeon Naudet, incaricati di girare un documentario sulla vita dei vigili del fuoco si sono ritrovati a filmare l’attacco alle torri gemelle. Alla Cbs, “9/11” un film che è diventato un incubo.
Di Giulia D'agnolo Vallan

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NEW YORK Le reclute dei pompieri si dividono in due tipi: nuvole bianche e nuvole nere. L'arrivo di una recluta del primo tipo in un battaglione significa un lungo lasso di tempo senza fuochi da spegnere. Mentre, secondo la superstizione dei New York Bravest ("i più coraggiosi", soprannome dei vigili del fuoco della città), il secondo è garanzia di un incendio dopo l'altro. Ventun anni, faccia aperta, calato dal Bronx alla punta estrema della downtown di Manhattan perché voleva "fare qualcosa che contasse" la recluta Tony Benetatos, per il suo battaglione, era inequivocabilmente una nuvola bianca. Jules e Gedeon Naudet, due filmmaker francesi decisi a fare un documentario sull'iniziazione di un vigile del fuoco, (Benetatos) stavano collezionando ore e ore di pompieri impegnati ai fornelli della loro stazione ma nemmeno un metro di fiamma, e cominciavano a disperare per l'esito del loro progetto. Questo, prima dell'11 settembre. Trasmesso domenica sera sulla Cbs, in uno speciale di 2 ore (tratte da 140 minuti di girato), il documentario dei Naudet è diventato uno squarcio unico, ipnotico e spiazzante, dell'attentato alle Twin Towers. Tra tutte le immagini – fisse, in movimento, o anche solo raccontate a voce – prodotte finora sugli eventi di quel giorno, “9/11”, è l'oggetto che più ha saputo ricreare l'impressione di rivivere quell'esperienza.

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Costruito quasi in tempo reale (il tutto – aeroplani che colpiscono le torri e il loro crollo – si consumò in poco più di due ore), “9/11” parte poco dopo le otto di quella mattina, quando Jules Naudet esce con i pompieri della stazione di Duane Street – a poche centinaia di metri dal World Trade Center – per risolvere un problema di fuga di gas. La sua telecamera riprende sonnolente immagini del distretto finanziario quando ecco il rombo, forte e sinistro. Naudet alza d'istinto l'obbiettivo verso la cima del canyon di acciaio e vetro che sta percorrendo e – nitidissimo nel cielo blu – un grosso aereo colpisce la prima delle torri gemelle.
Da quel momento, il filmmaker non smette di girare e, in pochi minuti, si trova insieme ai pompieri del suo battaglione al piano terra del World Trade Center 1, un interno di vetri in frantumi, fumo e, soprattutto, di paralizzato stupore dal quale partire per organizzare le operazioni di soccorso. una visione inedita e devastante, il voice over parla di persone in fiamme catapultate fuori da un ascensore esploso ("ma ho scelto di non riprendere quelle immagini") e di corpi che precipitano dal cielo insieme a pezzi di lamiera. Non ce li fanno vedere – magari non li ha ripresi, o è una scelta dei produttori della Cbs – ma il suono di quando si schiantano al suolo è persino più agghiacciante. Come agghiacciante è rivivere, sulle facce dei capi dei pompieri che parlano invano nelle ricetrasmittenti (mentre centinaia dei loro uomini si arrampicano sulla torre – un piano al minuto) il senso di sgomento, di orrore e di impossibilità che tutti provammo quella mattina. Nessuno – nemmeno loro dentro quell'inferno- sapevano cosa stava succedendo.
Esempio ultimo del formato “Cops”, “9/11” folgora perché non ha nulla dell'isteria e dell'efficientismo macho/eroico di quel tipo di tv della realtà. lo sgomento che abbatte. Il secondo aeroplano è un altro rombo e poi un grosso botto che fa tremare la base del primo grattacielo. Ma anche lì nessuno si aspetta veramente il peggio. Che arriva con il crollo del WW2, quando tutto inizia veramente a vacillare – telecamera compresa – e l'immagine diventa nera per un attimo mentre Naudet continua a parlare. Aiutandosi anche con il faretto della telecamera, pompieri e filmmaker si fanno strada nel buio pesto delle macerie della torre adiacente che hanno inondato la hall. Con loro, inquadrato in un “freeze frame” che suggerisce la composizione di una Pietà rinascimentale (forse l'unico momento estetizzante del documentario), è il cadavere della prima vittima "ufficiale" del disastro, il leggendario cappellano dei vigili del fuoco. A quel punto il capitano Joseph Pfeifer ordina l'evacuazione immediata del WW1 che sarebbe, a sua volta, crollato in circa mezz'ora. Miracolosamente tutti i pompieri della stazione di Duane Street sono incolumi, come anche Gedeon Naudet, che cercando suo fratello girava anche esterni degli eventi. Privo com'è di immagini stereotipatamente shock e dotato invece di uno insolito riserbo, il “9/11” dei Naudet è anche libero da ogni retorica patriottica che, da settembre ad oggi, ha contribuito a fossilizzare e a rendere più anonime quelle ore. Un documento che brucia ancora. Dopo il video (uno share del 47% con 39 milioni di persone incollate alla tv), New York ha rivissuto quei giorni nelle 24 ore successive al film, quando ieri, nella ricorrenza dei sei mesi dalla catastrofe, una bambina di 12 anni, Valerie Webb (figlia di una vittima del Wolrd Trade Center), ha acceso il "Tributo di luce", la scultura luminosa che per un mese illuminerà il Ground Zero con due torri virtuali. Un'opera tecnologica che porta il nome di una ditta di Alessandria, la Space Cannon. Inoltre, sempre l'11 marzo, una semplice cerimonia a Battery Park ha presentato il primo memoriale che la città dedica all'11 settembre. La Sfera, l'opera di Fritz Koening in omaggio alla pace mondiale che dominava la piazza del WTC dal `71, sfregiata dall'attentato ma miracolosamente non distrutta, ora svetta nel parco.

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(Da “il manifesto” del 12 Marzo 2002 )

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