Sentieriselvaggi21st #9 – Copyright Soderbergh (cover story)

L’unico, autentico, cineasta del XXI secolo. Da Sesso bugie e videotape al recente Lasciali parlare continua a riscrivere il concetto di autore/filmmaker e a sovvertire il mondo del cinema

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Una cosa che mi ecciterebbe veramente è fare più versioni dello stesso film”. Partiamo da qui. Steven Soderbergh non crede nei film come oggetti statici, da venerare a distanza come icone religiose. Forse è per questo che la sua filmografia, per quanto ricca di titoli straordinari, si impone soprattutto, almeno a una prima impressione, per il suo volume complessivo piuttosto che per l’eccezionalità dei singoli episodi. Soderbergh sembra credere soprattutto nelle immagini e nei meccanismi (produttivi, post-produttivi e comunicativi) che fanno amare i film. Crede nella pratica del cinema quindi. Anche se il suo non è un cinema esclusivamente pensato e realizzato per essere visto… al cinema.
Geoff King nel suo libro Il cinema indipendente americano (ed. Einaudi) indica esplicitamente nel regista di Sesso bugie e videotape una figura “emblematica della condizione in cui si trova oggi il rapporto tra Hollywood e il settore indipendente”. Tra gli Anni ’90 e i Duemila ha saputo districarsi con efficacia e puntualità programmatica tra film di successo girati con stile autoriale e grandi star (Out of Sight, Erin Brockovich, Contagion), remake (Torbide ossessioni, Solaris, Ocean’s Eleven), serie TV (The Knick, Mosaic), film programmati direttamente on demand (Bubble, The Girlfriend Experience, Dietro i candelabri, High Flying Bird, Panama Papers) e opere sperimentali ai limiti del divertissement (Schizopolis, Full Frontal). Vista nella sua vastità ed eterogeneità la produzione di Soderbergh sembra pensata e realizzata in nome della resilienza. Della capacità camaleontica di adattamento a qualsiasi tipo di storia e di budget. Una filmografia del genere non sembra firmata da un autore che vuole imporre la sua personalità, la sua “visione del mondo”. Eppure una visione del mondo c’è. In una filmografia del genere non è facile rintracciare i cosiddetti temi, che per decenni hanno contrassegnato, e inflazionato, la “politica degli autori”.
Eppure è praticamente impossibile non riconoscere un’immagine “di” Soderbergh, che si tratti di una commedia, di un thriller, o di una serie TV. Viene da chiedersi, paradossalmente, se in una filmografia così variegata, indecifrabile e apparentemente non personale, la figura del regista non finisca con l’essere ancor più decisiva.

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Forse è il caso di iniziare a sostituire la parola autore con filmmaker, che il dizionario Treccani indica proprio come colui che “segue tutte le fasi della lavorazione di un film”. Qui è necessario ricordare come Soderbergh non sia solamente il regista delle sue opere, ma anche il direttore della fotografia (pseudonimo Peter Andrews) e il montatore (pseudonimo Mary Ann Bernard).
Per certi versi rappresenta quello che ogni giovane aspirante cineasta di oggi dovrebbe e vorrebbe essere: il padrone assoluto di ogni “sua” immagine. L’artefice primo e ultimo del look e del linguaggio della propria opera. Ecco che la caméra-stylo che Alexandre Astruc profetizzò a metà del secolo scorso – il movimento della macchina da presa come una penna o un pennello, gesto estetico da opporre a un modello cinematografico vecchio e standardizzato – con Soderbergh, ma più in generale con le immagini digitali, di cui il regista di Traffic è stato da subito uno dei maggiori esponenti, è finalmente diventata realtà concreta, fatto.

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Summary

L’unico, autentico, cineasta del XXI secolo.
Da Sesso bugie e videotape al recente Lasciali parlare
il regista americano continua a riscrivere il concetto
di autore/filmmaker e a sovvertire il mondo del cinema
e dell’audiovisivo sperimentando e ibridando formati,
tecnologie, forme di narrazione e strategie distributive

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