"Solo mia", di Javier Balaguer
Balaguer sembra comunque sincero nelle sue intenzioni, specialmente quando privilegia i toni meno enfatici per aderire ad un'idea di cinema che trattiene volutamente i corpi, facendoli poi implodere/esplodere con una immediatezza comunque convincente.
L'opera prima per il cinema dello spagnolo Balaguer sembra seguire le stesse coordinate dell'ultimo Apted (Via dall'incubo). Lo sguardo che si instaura sin dall'inizio infatti sembra precipitare i corpi in dimensioni incerte, volutamente ambigue, quasi presaghe di aperture sul vuoto di fatto rimandate. La macchina da presa in questo senso inventa prefigurazioni vertiginose di uno spazio come sottratto (l'ambiente di lavoro della protagonista, la rarefazione impressionante di momenti scanditi dall'incontro con Joaquin) e inventa di volta in volta dei diversi modo di guardare il corpo di Angela. In questo senso infatti la carnalità gioiosa e labirintica della Vega di Lucìa y el sexo sembra qui stemperarsi nell'arsura vitrea di spaziature progressivamente ambigue, proprio perché deposte inizialmente nello sguardo quasi programmatico di un mèlo ordinario (i primi incontri tra Joaquin e Angela, il loro matrimonio e la successiva nascita di una bambina) e poi scandagliate in un rapporto fra corpi che non rispondono più. Balaguer filma la realtà familiare come il non luogo per eccellenza della definizione fisica del proprio io e corrode la visione del laboratorio domestico introducendovi esplosioni di rabbia e di violenza che scompongono le apparenze prima cesellate. E' per questo allora che in Solo mia appare l'immagine di un cinema continuamente scisso, straziato in brandelli di carne (la violenza di Joaquin che prende vita in forma di percosse contro la moglie Angela) che incidono l'epidermide visiva, con un sangue che macchia abiti e volti, rilanciando l'idea di un vero set (appunto quello che fa da teatro all'escalation della violenza contro Angela) inizialmente nascosto. Sotto questo profilo allora Balanguer è anche seduttivo (certe sequenze sono estremamente muscolari, traccia di un cinema che parte comunque dal corpo) proprio nell'accumulare veri e propri organismi segnici (il corpo trasformato della casa, la mutazione del rapporto tra coniugi, la frizione tra corpi desiderosi di imporre la propria autorità) che marchiano la visione, costruendo perimetri infuocati. Il rischio di Balanguer è semmai quello di incappare in una eccessiva ridondanza che spesso blocca i corpi all'interno di una plasticità forse eccessivamente studiata (i contrasti cromatici tra i flashback e il presente, i giochi con la luce dei diversi set), ma il regista spagnolo sembra comunque sincero nelle sue intenzioni, specialmente quando privilegia i toni meno enfatici (vanno pure bene quelli all'interno dell'orizzonte domestico, ma quelli che affiorano nel tribunale intorno alla fine, andavano forse attenuati) per aderire ad un'idea di cinema che trattiene volutamente i corpi, facendoli poi implodere/esplodere con una immediatezza comunque convincente. Titolo originale: Solo mia Regia: Javier Balaguer Sceneggiatura: Javier Balaguer, Alvaro Garcia Mohedano Fotografia: Juan Molina Montaggio: Guillermo Represa Costumi: Patricia Monnè Interpreti: Sergi Lopez (Joaquin), Paz Vega (Angela), Elvira Minguez (Andrea), Alberto Jimenez (Alejandro), Borja Elgea (Ramon) Produzione: Via Digital, Troto International, Tve, Star Line, Production S.L. Distribuzione: Star Film Durata: 100' Origine: Spagna, 2001