SPECIALE "LA PASSIONE DI CRISTO" – La redenzione della morte in diretta
Se nella possente e temeraria rilettura di Gibson, tutti sono colpevoli nel processo a Cristo, il realismo orrorifico dell'impianto drammaturgico non ci disturba più di tanto, perché è istruttivo e il suo regista è un realista con la sensibilità di chi è passato indenne in una crisi umana e spirituale.
Circondata da una ridda di polemiche la passione rivisitata da Mel Gibson, regista di furbo e consolidato mestiere, e dalla filologia rigorosa (leggi latino e aramaico) fa sì che il nuovo motto dei Vangeli diventi"dodici ore per morire." Un cronografo impeccabile per quella che è stata la prima morte in diretta della storia. Con The Passion, Gibson ci offre dunque una nuova spregiudicatezza della rappresentazione della violenza ai limiti dello snuff movie. Narratore e narratario sono sullo stesso piano. Il Messia assembla i flashback degli episodi più noti della Storia per lo spettatore in una delle idee più immense del cinema degli ultimi dieci anni. Succede però che attraverso l'essenzialità della trama, il cotè teorico scompare per lasciare spazio ad un pamphlet contro la mancanza di compattezza narrativa delle storie odierne. La forza del Cristo gibsoniano è proprio questa: l'inutilità di comprimere il tempo e rappresentare la morte secondo una strategia ellittica. Anche se, come cattolici, continuiamo a preferire il Gesù inquadrato di spalle del Ben- Hur di William Wyler, resta un inconveniente qui: una definizione fotografica che contrariamente a quella del film capostipite non solo non scolpisce volti e corpi in una densità bluette, ma non possiede neppure una qualità cromatica costante. Ciò permane anche quando crediamo di essere venuti a capo della faccenda, e magari proprio quando saremmo disposti a giustificare cadute di gusto come quella della mediazione interculturale di Ponzio Pilato. Se nella possente e temeraria rilettura di Gibson, tutti sono colpevoli nel processo a Cristo, il realismo orrorifico dell'impianto drammaturgico non ci disturba più di tanto, perché è istruttivo e il suo regista è un realista con la sensibilità di chi è passato indenne in una crisi umana e spirituale. La concupiscenza del nostro sguardo davanti allo schermo è quella dello sguardo liberato da secoli di immagini di cartapesta e strumentali. Pertanto l'atteggiamento del regista è certamente più corretto di tutti coloro che hanno strumentalizzato l'icona cristologia per condurre crociate religiose, culturali (la controcultura americana) e politiche assai aberranti.
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